Sono diverse le forme di autismo che negli ultimi 50 anni neurofisiologi e psichiatri hanno ricondotto ad anomalie senso-percettive come base delle caratteristiche centrali di questi disturbi neurologici, superando la concezione fino ad allora accettata di “disfunzione sociale”. Coorti di ricercatori si sono scervellati per capire se, nella dimensione autistica, fosse presente una disfunzione sensoriale tale da impedire al cervello di attribuire un significato agli stimoli sensitivi recepiti dal mondo esterno e di organizzarli in percezioni e concetti.

Per cercare di addentrarci in questo che – per noi gente di strada – è un autentico labirinto, abbiamo scomodato Aurelio Bruno, professore associato in Psicologia, psicobiologia e psicometria, che da 2 anni segue un progetto quadriennale sugli aspetti temporali della percezione visiva nell’autismo al Dipartimento di Psicologia dell’Università di York, in Gran Bretagna.

La chiave della percezione

Progetto che rappresenta uno dei primi tentativi di avvicinarsi allo studio dei meccanismi attraverso cui il nostro cervello elabora le informazioni temporali da una prospettiva percettiva piuttosto che cognitiva. Approccio che si differenzia molto dai tentativi sperimentali fino ad oggi intrapresi. «Sono 15 anni che studio gli aspetti dinamici/temporali della visione – spiega Bruno – in particolare come la durata degli oggetti visivi viene percepita e rappresentata nel nostro cervello, con intervalli di tempo compresi tra qualche centinaio di millisecondi e 1 secondo. Un range di “intervalli temporali” fondamentale per la coordinazione motoria, la produzione/comprensione del linguaggio, nonché per la percezione del movimento in una scena visiva o in modalità tattile».

Che sguardo abbiamo io e te?

Quando però, nella vita di tutti i giorni, sperimentiamo intervalli di tempo così brevi?

«Per esempio, nei contesti sociali», rivela l’esperto. «Immaginiamo di essere ad una festa. Non solo la frequenza, ma anche la durata di uno sguardo condiviso con uno sconosciuto può avere significati diversi: segnalare attrazione reciproca o minaccia/antipatia. Capire che cosa “succede” nella mente di una persona in questo brevissimo lasso temporale, anche dal punto di vista dell’interazione sociale, è un po’ la sfida da vincere».

Uno dei deficit che caratterizzano tutte le forme di autismo è proprio la difficoltà non solo a “reciprocare” uno sguardo condiviso, ma anche ad interpretare l’informazione legata al volto e soprattutto alla percezione dello sguardo.

Lo stimolo visivo e il suo doppio

«Secondo una recente teoria – racconta lo psicologo – non si tratta solo dell’elaborazione dello stimolo visivo, ma anche della sua interpretazione. I soggetti con disturbi dello spettro autistico non farebbero lo stesso uso che i soggetti neurotipici (cioè senza una diagnosi di disturbo neurologico) fanno delle esperienze sensoriali precedenti per interpretare i nuovi stimoli sensoriali».

Paradossalmente si potrebbe dire (ma si tratta ancora di un’ipotesi) che, rispetto a noi, le persone autistiche vedono il mondo più com’è realmente, senza il filtro dell’esperienza sensoriale precedente. Una sorta di visione in formato “raw” = grezzo della realtà, utilizzando il linguaggio della fotografia digitale, che noi invece sviluppiamo/interpretiamo con Photoshop/integrazione cerebrale. Esperienza sensoriale in definitiva da cui vengono in un certo senso sopraffatti, con la difficoltà di poterla inserire in un contesto più ampio.

L’immagine statica e dinamica 

Un altro filone di ricerca che tenta di spiegare i deficit di natura percettiva nell’autismo si basa sulla teoria della “via magnocellulare”. «Quando lo stimolo visivo colpisce la retina dell’occhio – spiega Bruno – viene elaborato attraverso due vie nervose: quella parvocellulare (costituita da cellule di piccole dimensioni) ad alta risoluzione spaziale capace di elaborare i particolari fini dell’immagine, ma cieca ai cambiamenti dinamici; e quella magnocellulare (costituita da cellule di grandi dimensioni) che analizza gli aspetti dinamici dell’immagine, ma è meno sensibile alla forma e al colore degli oggetti».

Un po’ come le due ammiraglie di un marchio giapponese famoso di fotocamere, dotate l’una di un sensore ad alta risoluzione ma meno performante negli aspetti dinamici della vita (sport, wild-life, ecc.), l’altra di un sensore a risoluzione più bassa ma più performante quando il mirino del fotografo è puntato su oggetti e corpi in movimento.

Le vie imperscrutabili della visione

In condizioni normali le due vie andranno poi a convergere nei centri nervosi superiori fornendo un profilo completo dell’immagine che stiamo guardando. Al contrario, il problema delle persone con disturbo autistico potrebbe risiedere nella via nervosa magnocellulare dedicata ad elaborare i cambiamenti dinamici della percezione visiva.

«Poiché ci sono evidenze che sembrano dimostrare che le persone autistiche hanno problemi di percezione degli aspetti temporali di uno stimolo sensoriale – sottolinea Bruno – il nostro obiettivo è capire se tale disturbo colpisce tutte le tipologie di stimolazione visiva o se questi soggetti hanno un deficit legato all’elaborazione del tempo solo nella modalità visiva, o ancora se il disturbo è legato solo allo sguardo e in tal caso se sia specifico per gli stimoli sociali o sia invece più generalizzato».

La sfida della diagnosi precoce

Un’altra sfida del nostro progetto, conclude il ricercatore italiano, è verificare se l’autismo sia un disturbo discreto o, al contrario uno spettro: cioè se ciascuno di noi ha un certo numero di tratti autistici tale da condurre una quota di popolazione alla diagnosi di autismo, o se invece siano due profili comportamentali separati: persone autistiche da una parte e non autistiche dall’altra. Un pattern misurabile tramite il test AQ (quoziente autistico) dei tratti autistici nella popolazione adulta neurotipica, il cui risultato – insieme ad altri parametri neurofisiologici come l’elettroencefalogramma (EEG) – viene correlato in un secondo momento ai dati ricavati dagli esperimenti sulla percezione del tempo e della durata dello sguardo. La presenza di una correlazione significativa tra il numero di tratti autistici, evidenziato dal test AQ, e l’intensità del deficit temporale, evidenziato da un semplice test comportamentale e dall’EEG, consentirà una diagnosi precoce.

Giorgio Cavazzini

Aurelio Bruno

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