Non è vero che smise di disegnare Mafalda perché a corto di idee. E neanche perché l’impertinente bambina che ha una selva intrecciata per capelli stava prendendo il sopravvento sulla sua creatività d’artista. Lui, nei registri dell’anagrafe di Mendoza come Joaquín Salvador Lavado Tejón, ma celebre in tutto il mondo come Quino lo disse subito, quel giorno di giugno del 1973, quando dopo dieci anni di successi decise il grande passo dell’abbandono. Era semplicemente stanco di rincorrere ogni ingiustizia del suo tempo e farla denunciare da una pestifera bambina di sei anni che detesta la banalità, non sopporta l’ipocrisia e odia la minestra.
Non la abbandonò mai davvero
E considerato cosa poi successe in Argentina, con i militari a far cadere i “sovversivi” dagli aerei in volo a diecimila metri, spazio per Mafalda nella madrepatria proprio non ce ne sarebbe stato. L’arrivo in Italia, e in particolare a Milano, non spense la sua capacità di coniugare umorismo, sarcasmo e paradossi, con i lettori italiani che lo avevano adottato grazie a quell’immensa fucina di avanguardia e sperimentazione che fu il Linus sotto la direzione di Oreste del Buono.
Ma, per quanto continuò a dedicarsi ad altro, Quino non si dimenticò mai di quella bambina dalla lingua lunga e i modi così spicci da trasformare l’impertinenza in autentico stalkeraggio delle abitudini più radicate, visto che per i quarant’anni della piccola, nei fumetti può crescere l’anagrafe, ma solo quella, nel 2004 lui decise di omaggiarla con una bellissima mostra per tutta il nostro Paese organizzata con il Touring Club.
Il testo che eleva l’immagine
E non poteva essere altrimenti. Sulla terribile Mafalda non poteva calare il sipario. Le ristampe possono fare il loro onorevole corso, ma ci vuole di tanto un tanto un gesto pubblico da parte del suo autore. Perché quelle strisce dal disegno così essenziale sono tutt’oggi il marchio indelebile di un Maestro, così come lo ha salutato il più giovane “compagno di matita” Stefano Disegni, riconoscendo nelle sue tavole l’archetipo di questo genere di fumetto: “Una strip di satira è soprattutto scrittura e pochi e semplici tratti, massima espressività al servizio di un testo forte”.
Il testo è sì veramente forte. Mafalda che fa la morale agli adulti, Mafalda che usa le più ardite iperboli concettuali per vivisezionare il comportamento di suo padre e di mamma Raquel, Mafalda che ha sui nervi la puerile coetanea Susanita e che filosofeggia con l’amico Felipe, Mafalda che bastona i potenti del mondo. Mafalda che fa ridere da matti. Oh sì, il testo è un’autentica bomba a orologeria che trasforma il tratto in un’immagine chapliniana.
Magister Quino, ovunque tu sia, perché da qualche parte sei, che le tue spoglie mortali ricevano la cortesia della terra lieve. E la riconoscenza dell’aria sempre fresca.
Corrado Ori Tanzi