Autore per grandi nomi della canzone, cantautore lui stesso, collaborazioni con chi della canzone d’autore fa materia di sangue e respiro, una porta sempre aperta alla scrittura narrativa senza musica. E poi milanese e milanista doc. Claudio Sanfilippo porta avanti più tradizioni. Da quella alla Nanni Svampa ed Enzo Jannacci nel dialetto della Milano popolare a quella in cui musica e testo creano un’ unità narrativa inscindibile in grado di evocare tempi e mondi. Passando per la traduzione di canzoni anglosassoni di cui si appropria della più intima anima. Col fil rouge dell’eleganza con cui veste il corpo di ogni nuova creazione. 

Cosa cambia per un autore nello scrivere liriche in italiano e in milanese?

Cambia foneticamente e quindi la musica nasce in modo diverso. Il milanese è duttile e pieno di tronche, come l’inglese. L’italiano è molto più ricco, è una lingua gigantesca. Il milanese, come tutte le lingue locali, è espressivo, onomatopeico, a sua volta spesso intraducibile. Ogni tanto penso in milanese e capita che l’ispirazione prenda quella strada, ma per pensare in una lingua bisogna conoscerla bene. La mia fortuna è che non ho dovuto studiarla, l’ho imparata ascoltando i discorsi familiari, fin da bambino. Anche se poi, se guardo il mio repertorio, ho scritto prevalentemente in italiano.

A proposito, considera il milanese un dialetto o una lingua?

Direi una lingua locale, anche se non mi sono mai posto il problema della definizione. E comunque il milanese, nel suo piccolo, può chiamarsi lingua per ragioni storiche, in letteratura negli ultimi tre secoli ha prodotto tanto, soprattutto in ambito poetico e teatrale, Porta, Tessa, Loi, Bertolazzi, Ferravilla, solo per citare i primi che mi vengono in mente. Oggi ci sono alcuni giovani e bravi poeti che tengono alta la bandiera, mi viene in mente Davide Ferrari, che scrive in pavese, bravissimo.

Milano come ambientazione noir, considerato il suo amore per il genere e il suo essere anche scrittore. Autori come Scerbanenco, Olivieri, Colaprico, Pinketts hanno in qualche modo ormai preso il meglio da questa città o esiste ancora del sugo milanese con cui cucinare una ricetta piena di giallo? 

Penso che esista ancora, Milano è uno sfondo ideale per il genere, in ogni epoca l’ambientazione anche cromatica della città funziona, soprattutto nella sua dimensione riservata, velata di nebbie, in centro e in periferia. Poi ci vogliono gli scrittori capaci di inventare storie nuove e gli editori bravi a intercettarle.

Qual è la necessità di affrontare il canzoniere di Bob Dylan per farne delle versioni in italiano?

Nessuna necessità specifica, negli anni ho tradotto molte canzoni di colleghi stranieri, più o meno noti, e avevo nel cassetto alcune vecchie cose tradotte di Dylan, poi un giorno mi sono misurato con Shelter from the storm, una canzone che amo molto e che non pensavo di riuscire ad adattare in italiano. Invece è andata bene, così ci ho preso gusto, e ora mi ritrovo con 24 canzoni di Dylan in italiano e una in milanese. Nel frattempo è uscito l’album di De Gregori (Amore e furto – De Gregori canta Bob Dylan, nda), e il caso vuole che non ci siano sovrapposizioni con le mie versioni. Diciamo che il lavoro su Dylan, per giocare con le parole, è di misurarsi con un autore fuori misura.

C’è un autore che non ha ancora affrontato ma che sente nelle sue corde?

Più di uno, al volo dico Leo Ferrè e Paul Simon.

Mettiamo su un piatto della bilancia la musica e sull’altro il testo. È sempre una questione di totale equilibrio a rendere perfetta una canzone o c’è dell’altro?

Sì, è l’equilibrio che nasce da una fusione alchemica, che può diventare ancora più alto con l’arrangiamento, l’esecuzione, l’interpretazione. Ma una canzone con una bella musica e un testo debole, o non particolarmente profondo, può essere una bella canzone. Il contrario invece non funziona. Per me la canzone è qualcosa di essenzialmente musicale.

Una volta Woody Allen confessò di divertirsi molto di più a scrivere la sceneggiatura dei suoi film che a girarli. Lei si diverte più a comporre o a eseguire i suoi pezzi?

Difficile dire, sono cose completamente diverse. La composizione è un fatto interiore, dal punto di vista della profondità è impareggiabile, egoriferita in senso puro. La gioia che può dare una canzone eseguita bene è qualcosa di estroverso, che coinvolge il rapporto con gli altri, che sia un amico davanti a te o il pubblico, dal palco. 

Nel suo più recente album, “Contemporaneo“, c’è un verso della title track che mi ha molto colpito: “Hanno bruciato anche il vocabolario/l’hanno sostituito col rosario del nuovo ordine della moneta confessionale”. La trovo una sintesi molto acuta dei tempi moderni. 

Volevo esprimere proprio quella cosa, sono contento che il messaggio sia arrivato. Masse di codici fiscali in balìa di un sistema folle in cui il valore unico della moneta detta le regole del gioco, qui siamo arrivati. Prenderne coscienza è già qualcosa, e il re è nudo. Il problema è che si capisce qual è il re, ma è difficile dargli un nome.

Nell’album si parla anche di “testimoni dell’oscurità”: è il mondo dei social che li ha fatti nascere?

Di sicuro ha contribuito molto, anche se in parte si tratta dei cosiddetti “leoni da tastiera”. Ma la storia riguarda anche molti giornalisti più “ufficiali”, la sensazione è che troppo spesso non raccontano ciò che vedono. Il distacco da certi valori del Novecento è evidente e il rumore di fondo dei social aumenta il danno. Si predica di minoranze ma si razzola per maggioranze. In tutto ciò c’è ancora tanta buona gente, in senso trasversale, e bisogna cercare di tenere gli occhi aperti e non perdere il buon senso, soprattutto in questo periodo “virale”.

Una sua canzone struggente è “La Notte di San Lorenzo“, portata al successo da Cristiano De André. Ha un incipit amaro e nello stesso momento di forte suggestione: Era la notte di San Lorenzo / cadde una stella illuminando il lago / mentre un addio uccideva un sogno / piano suonavo. Eppure si parla della notte in cui noi possiamo vedere le stelle cadenti a cui inviare un nostro desiderio.

Lo scontro di stati d’animo è solo apparente, stavo uscendo da un momento sentimentale difficile, forse nell’inconscio ho sostituito il sogno con la chitarra, altrimenti non mi sarebbe venuto in mente di scrivere una canzone, in quel momento la notte delle stelle cadenti e dei desideri era il pretesto perfetto.

Nel 1993 Mina incise la sua “Stile Libero” nell’album “Lochness“. Nel 2014 di nuovo la voce della signora Mazzini a dar corpo a un pezzo scritto da lei, “La palla è rotonda“, che divenne la sigla Rai delle trasmissioni sui Mondiali di calcio in Brasile. Più da testimone uditivo che oculare: qual è la vera particolarità che rende questa interprete unica?

Fin dalle sue prime apparizioni hai sempre la sensazione che lei sia presente in modo autentico. Vale anche per la distanza che un certo punto ha creato ritirandosi dalle scene, senza mai smettere però di incidere dischi. È diventata un’icona pop in modo spontaneo, credo che la sua unicità sia in questa sua autenticità, al di là delle doti musicali, del talento.

La palla è rotonda” è costruita con una struttura lirica molto originale: sono i tecnicismi linguistici del calcio a fare il testo, un grande cut up dello slang pallonaro per ricamare una narrazione di forte effetto. Com’è stata la genesi di questa scrittura?

È una canzone che ho scritto 25 anni fa per un film di Giovanni Bedeschi che poi non fu realizzato, si intitolava “Lo spogliatoio“, la sceneggiatura era ambientata nel calcio minore milanese. La canzone si intitolava “Football Bossa“, e non aveva il ritornello. Poi una decina d’anni fa mi è tornata tra le mani per caso e, memore di Mexico 70 che Mina aveva cantato per i mondiali messicani, ho aggiunto il ritornello da cui è nato anche il titolo, “La palla è rotonda“. Di solito non torno mai su canzoni scritte tempo indietro, quella volta è andata così.

È d’accordo con chi sostiene che oggi non si ascoltano più buoni pezzi per un conformismo dilagante che avrebbe stregato le generazioni più giovani?

I giovani ascoltano la musica del loro tempo, è sempre stato così. Certo, quella che girava intorno quando avevo 20 anni era un altro mondo. Energie diverse per tutti, musicisti, pubblico, radio, televisione, giornali. Nel cortile dei social ci sono molte facce, positive e negative. Tra queste ultime il fatto che con tanti “mi piace” il pubblico ti conosce e questo induce a seguire l’onda che alimenta il conformismo. Poi, attenzione, nel mucchio ci sono anche tanti bravi artisti e più gente di ciò che sembra disposta ad ascoltare musica fuori dal gusto dominante. Il problema è molto più complesso perché oggi la musica è gratis e i giovani crescono con quell’idea lì. Il tempo per ascoltare un album con la medesima attenzione che si riservava a un vinile e anche, un po’ meno, a un cd, sembra non esserci più, i modelli sono costruzioni di marketing digitale. Viene a mancare anche il rito, l’oggetto che si faceva toccare, le copertine, i testi, le note. È il brodo perfetto per il conformismo. Ma scommetto che tra cinquant’anni a resistere saranno Paolo Conte e De Gregori, non Fedez o J.AX.

Ma se Dio è morto, la canzone d’autore del nostro Paese di che stato di salute gode?

Non faccio il dottore, però a occhio non mi sembra male, resiste. La canzone d’autore è un pezzo importante della storia artistica italiana, da Modugno in poi c’è un mondo, credo che sia una vocazione profondamente italiana. Per tornare all’inizio, ci sono tante cose buone nella canzone d’autore dialettale, forse dovremmo recuperare un po’ di cultura folk.

La chiusa è un fuoricampo: se affermo che Gianni Rivera è stato il più grande calciatore di sempre, almeno per quando riguarda l’Italia?

Sottoscrivo e sottolineo, sarà che tengo al Milan… adesso, seriamente, se prendiamo l’ultimo mezzo secolo oltre a lui chi possiamo considerare? Per motivi diversi Riva, Baggio, Baresi, Maldini, Totti, Buffon? Tutti grandi campioni, ma Rivera è quello che ha segnato un’epoca come nessun altro. È anche l’archetipo del numero 10, il simbolo dei calciatori di classe pura, il primo pallone d’oro della nostra storia. 

Corrado Ori Tanzi

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Claudio Sanfilippo
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PAVIA - SPAZIO MUSICA - 27/10/2019
Claudio Sanfilippo
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