“Stardust”, polvere di stelle. Quella che un giovane e semi sconosciuto David Bowie cerca di afferrare nel suo primo viaggio americano, nel 1971.
In realtà le cose non vanno come sperato : il performer inglese non ha un permesso di lavoro valido per esibirsi in tour e può solo suonare in feste private o convention oppure fare interviste, che lui detesta, forse perchè, invece che di musica i giornalisti gli chiedono delle stigmati della malattia mentale che pare abbiano colpito la sua famiglia. Un clima non proprio ideale per una persona preoccupata di cadere, anch’ essa, nei meandri della psiche.
Da quel fiasco Bowie imparerà un’ arte preziosa : quella di rinascere dalle sue ceneri come l’ Araba Fenice. Dalle insicurezze e dalle fragilità coltivate e scoperte negli Usa sorgerà il suo personaggio più famoso, l’ alieno Ziggy Stardust. E da lì in poi sarà tutta un’ altra musica.
Divieto di famiglia
Negli ultimi anni l’ industria cinematografica ha scoperto il redditizio filone dei film biografici,i “biopic”, in gergo, sui rocker. Dopo Freddie Mercury ed Elton John, sarebbe il turno quindi di David Bowie.
Sarebbe, perché il film di Gabriel Range non ha avuto il nulla osta della famiglia del cantante scomparso nel 2016 : niente canzoni nella colonna sonora.
Nella storia quindi Bowie, che ha il volto di Johnny Flynn, può intonare solo le stesse cover che propose agli spettatori del 1971, quelle degli Yarbirds e di Jacques Brel, ma non brani originali.
Un discreto ostacolo
Un discreto ostacolo per il film, che si presenta come una libera rielaborazione delle vicende realmente accadute.
Forse sarebbe stato meglio cambiare del tutto le carte in tavola e inventarsi di sana pianta un simil–Bowie, anche perché la somiglianza tra Flynn e l’ originale è scarsina, con il rischio però di veder svanire i finanziatori.
Troppa materia narrativa
Presentato all’ ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, “Stardust”, da non confondere con l’ omonima pellicola fantasy del 2007, ha lasciato freddino il pubblico.
Reazione comprensibile : come il suo protagonista, il film appare incerto sul da farsi e sul dove andare, in bilico tra tante, troppe cose.
Il percorso esistenziale, artistico e umano, del giovane David; il rapporto sia con il volenteroso addetto stampa che cerca di inserirlo nel circuito dei media sia con una moglie dipinta quasi sempre in modo negativo; la resa di un periodo storico cruciale, a cavallo tra i favolosi anni Sessanta e i tribolati Settanta… troppa materia narrativa per un regista che non sa gestirla al meglio.
Carlo Faricciotti