1971. Da fotografo di guerra W. Eugene Smith, Johnny Depp, è diventato un recluso volontario. Rintanato nel suo appartamento di New York, è ubriaco, indebitato, estraneo ai suoi figli e costretto a vendere la sua attrezzatura.
Robert Hayes, direttore della rivista Life, gli chiede di tornare in Giappone, Si tratta di indagare sull’avvelenamento degli abitanti di un villaggio di pescatori chiamato Minamata
All ‘inizio Smith rifiuta l’incarico, ma un’interprete giapponese, Aileen, lo esorta ad accettare e l’uomo si convince a fare del suo meglio per smascherare gli effetti devastanti dell’avidità aziendale, complici la polizia locale e il governo.
Armato solo della sua fotocamera contro una potente società, Smith deve conquistare la fiducia di una comunità distrutta e trovare le immagini che porteranno questa storia al mondo.
Una sindrome neurologica
La malattia di Minamata è una sindrome neurologica causata da intossicazione acuta da mercurio. Come dice il nome, fu scoperta, a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, nella cittadina da cui prende il nome il film di Andrew Levitas.
Il regista e il direttore della fotografia Benoit Delhomme all’inizio, quando la storia è ambientata a New York. adottano uno stile di ripresa curioso: si immergono nella scena, armati della camera portatile di Delhomme, per catturare l’essenza di quello che stanno inquadrando, sperando quasi di immortalare la verità dei fatti.
Un effetto disorientante per lo spettatore, ma poi il ritmo si assesta su un andamento più naturale una volta che Smith e Aileen raggiungono il Giappone. Dalla frenesia “drogata” degli USA ai ritmi più lenti e scanditi del Sol Levante.
Più il tempo dell’indagine scorre, più le prove vengono a galla, maggiore diventa la pressione, fisica e psicologica, su Smith.
La violenza e il coraggio
La violenza dispiegata dalla multinazionale, incluso un assalto che lo lascia gravemente ferito per aver scattato le sue foto denuncia, si contrappone all’integrità morale ritrovata di Smith, momenti sottolineati anche dalla colonna sonora del grande Ryuichi Sakamoto, la quale ricostruisce un’atmosfera mescolandosi alle canzoni d’epoca.
Il film resta impresso per le immagini memorabili, conturbanti, a volte anche vistose e sempre professionali. delle sinistre ciminiere della fabbrica e di una baia idilliaca le cui acque apparentemente calme sono in realtà letali.
Accanto a queste, immagini che lasciano poco all ‘immaginazione. Corpi straziati di adolescenti con tutori per le gambe e dita troppo cresciute e donne anziane in cure nell’ospedale della stessa fabbrica che la ha avvelenate.
Le cattive acque di Minamata
Il momento più emozionante del film è forse quello in cui Aileen, Smith e Kiyoshi, un’attivista che si trova nelle prime fasi della malattia, entrano in ospedale con zaini pieni di macchine fotografiche e da presa e riprendono tutto. Compreso un laboratorio segreto pieno di animali mostruosi, prova definitiva che l’azienda sapeva da tempo di stare avvelenando la comunità.
Un film che andrebbe visto assieme a un altro lavoro emozionante su un tema simile, Cattive acque, uscito nelle nostre sale purtroppo poco prima del lockdown di primavera e che andrebbe recuperato.
Carlo Faricciotti