Gli uomini non la sopportarono. E mai la digerirono. Non solo i maschi alfa oggi tornati alla luce del sole quale modelli per una società forte. Gli stessi intellettuali della sinistra, anche quella più radicale francese, non perdettero l’abitudine di tenerla a distanza, infastiditi da una mente che aveva un solo ma irreparabile difetto. Era una donna. Mai intimidita, Simone de Beauvoir continuò a obbedire solo a se stessa e alle sue rivoluzionarie idee su profilo ed emancipazione del sesso femminile nella società umana.
Un’appassionata amicizia
Di questa sua intollerata formazione abbiamo ulteriore prova ora grazie a un testo inedito, “Le Inseparabili” , Ponte alle Grazie, che, con lo stratagemma della prosa, racconta la breve vita di Elisabeth Lacoin, detta Zaza, morta un mese prima di compiere 22 anni nel 1929 ma per quasi tre lustri appassionata amica di un’altrettanto giovanissima Simone.
Scritto nel 1954, riposto nel cassetto per poi essere carta d’appunti nel 1958 quando de Beauvoir integrerà la tragica storia di Zaza all’interno di “Memorie di una ragazza perbene”, il primo volume della autobiografia della scrittrice, “Le Inseparabili “ vive sul filo di un continuo dialogo tra le due bambine/ragazze che risulta un artificio letterario solo in parte. Vero che Zaza assume il nome di Andrée e l’autrice si dà quello di Sylvie, vero anche che l’intera scena dei recitanti muta la propria carta d’identità e qualche adattamento rispetto alla stretta verità storica dei fatti è stato fatto, ma il nocciolo della storia è tutto qui dentro.
La tirannia degli adulti
Nell’ incessante tu per tu tra Andrée e Sylvie, che si danno sempre del lei, la prima esce stritolata dalla sua stessa singolarità per non riuscire a integrarsi in una società non pensata per i giovani, al tempo non ancora categoria sociale ma semplice momento di passaggio caratterizzato da ubbidienza agli adulti e sottomissione al credo religioso. Un minorenne doveva dimenticarsi di sé e, se di sesso femminile, organizzarsi la vita nel solco dei precetti all’interno del Grande Libro della società, da sempre scritto da mano maschile.
Senso di colpa
Nella postfazione, Sylvie Le Bon de Beauvoir, la figlia adottiva di Simone, afferma che la madre si sentì colpevole per essere sopravvissuta all’amica, la luce più brillante della sua gioventù. Di certo la storia ci suggerisce perché l’una riuscì a imporre la sua personalità e l’altra inciampò mortalmente nella crudele poesia della sua fragile identità.
Nella ricerca di una via d’uscita dalla gabbia della repressione per vivere più leggere un’età che ancora non si è fatta forte, le protagoniste di queste pagine, arricchite da parte della corrispondenza privata tra Simone e Zaza, ci invitano a una tavola dove troviamo anche stupore e commozione. Una conferma per chi conosce Simone de Beauvoir. Che, come ha scritto Natalia Aspesi su “Robinson” dello scorso 17 ottobre, “noi signore non dovremmo mai dimenticare, leggere e rileggere, perché dalla sua vita, dai suoi libri, capiamo molto di cosa voglia dire essere donna, di cosa siamo state, di cosa dovremmo essere”.
Corrado Ori Tanzi
Fotografie ©Association Elisabeth Lacoin e Simone de Beauvoir, ©Association Elisabeth Lacions/Bridgeman Images, © Collection Sylvie Le Bon de Beauvoir