Un’infanzia trascorsa a giocare a calcio e a disegnare abiti da sposa, una passione per lo street style e le stampe all’avanguardia, poi la scoperta della ricerca tessile che diventa il sogno di una vita. Monica Bertozzi, classe 1988, vive a Londra e da un anno e mezzo lavora come Production Coordinator per il brand Stephen Jones Millinery Limited. Il suo compito è cercare materiali e accessori inediti che andranno a vestire il capo di celebrities e teste coronate.
Ti descrivi come un eterno maschiaccio con la passione per la moda, che cosa ha significato per te trovare un equilibrio tra aspetti caratteriali e interessi così diversi tra loro?
Forse, proprio per il fatto che sono due estremi così lontani, i diversi lati della mia personalità combaciano perfettamente. Sono piccolina, con la frangia perfetta e l’eyeliner impeccabile, ma allo stesso tempo sono tagliente e con la lingua lunga. Porto anfibi e chiodo, ma li abbino con uno zaino rosa antico e t-shirt di nicchia estremamente ricercate. Credo sia un equilibrio che si è creato da solo negli anni. In me ci sono due poli opposti che si attraggono, si fondono e creano un’unica persona.
Da dove trai ispirazione per le tue creazioni?
io non sono una creatrice vera e propria, ma sono quasi un burattinaio. Muovo i fili per dare vita alle scene. Le ispirazioni vengono da Stephen, ed io ricerco i materiali in base alle tendenze e all’impulso del momento, ad esempio un video visto il giorno prima, una foto su un sito, un cappotto di una ragazza in metropolitana. Penso a qualcosa che sia inerente al progetto e lo propongo. Non posso ancora dire cosa e chi, ma un grande designer ha scelto un mio ritrovamento della fiera tessile, che giaceva sul tavolo da mesi.
Mi è anche capitato di dover mandare cartamodelli di cappelli per poterne creare filtri instagram. Sono come una catena di montaggio in solitaria. Mi adopero affinché tutto si trovi al posto giusto al momento giusto, spesso con crisi di nervi e imprecazioni in due lingue, ma anche questo serve!
Tu sei una persona che si è dovuta trasferire all’estero per vedere riconosciuto il proprio talento. Davvero l’Italia è così poco incline ad investire sui giovani?
Io credo che sia così. Sono contenta per chi invece ce l’ha fatta. Ma, per esperienza personale, nel bel paese vedo poche persone felici, anche tra coloro che hanno ottenuto il lavoro che volevano nell’azienda che desideravano. Manca sempre qualcosa, un tassello.
Qui mi è stata data fiducia, indipendenza, merito. Ho provato per tanto tempo a fare il mio lavoro in Italia, ma ricevevo esclusivamente offerte di stage sottopagati e le possibilità erano solo per chi “conosce qualcuno”. A Londra non conoscevo nessuno, eppure sono arrivata dove volevo. In Italia non c’è fiducia nei giovani, non c’è voglia di investire su di loro o di ascoltarli. Si pensa solo ad un fatturato che non esiste. È un mondo che va veloce con a capo persone che pensano molto lentamente.
Il brand per cui lavori produce cappelli talmente strutturati da sembrare quasi sculture. Quali sono i materiali e le tecniche lavorative che permettono di ottenere un tale effetto?
Si usa letteralmente qualsiasi cosa: dal pvc al legno, dalla carta pesta ai fogli di giornale. Poi seta e pellami, tomaie di scarpe e lane pregiate. Tutti i cappelli sono realizzati a Londra, nel nostro laboratorio, come direbbe Stephen, fatto a mano da 3 vergini. Cuciamo molto a mano e formiamo i cappelli usando i classici blocchi in legno. Poi basta dare sfogo alla fantasia! Una volta abbiamo usato fibre in carbonio per creare un pianeta, un’altra volta corde del pianoforte e swarovski per una sigaretta. Quando lavorai a Venezia per il Ballo Tiepolo avevo in valigia 3 set di luci di Natale, e sono stati usati! Tutto può tornare utile…
Come è cambiata la moda in seguito alla pandemia? Sei d’accordo con Giorgio Armani quando dice che bisogna rallentare?
Io credo che la pandemia abbia mostrato il vero volto della moda: un mondo complesso, che non tutti possono o vogliono capire. Molti pensano che moda voglia dire solo boutique scintillanti e borse costose, ma dietro ci sono persone, lavoratori, artisti, artigiani, lacrime e sudore, anni di studio e sacrifici. La crisi sanitaria ha messo a nudo lo scheletro della moda, mostrandone tutte le debolezze. Giorgio Armani ha dimostrato, ancora una volta, di essere un imprenditore e un essere umano, un leader e non un “boss”. La moda ha frenato, ha inchiodato, ma si sta rialzando. Lentamente, come deve fare, senza togliere spazio alla speranza. Il fast fashion è morto da tempo, la moda effimera non funziona più. Qualità ed eco-conoscenza sono le parole chiave. È ora di prendere un respiro a pieni polmoni e ricominciare a sognare, ma con un occhio aperto. Lo spettacolo deve andare avanti, in un modo o nell’altro.
Adriana Fenzi