In Italia, secondo gli ultimi dati Aiom Airtum 2020, si contano ogni anno 55 mila nuovi casi di tumore della mammella, che colpisce una donna su tre con differente frequenza in base all’età: 40% nella fascia 0-49 anni, 35% nella fascia 50-69 anni e 22% nelle over 70. La buona notizia è che il cancro al seno – chiamiamolo con il suo nome – mostra un lieve aumento dell’incidenza |+0.3%|, soprattutto nelle donne fuori dalla “fascia di screening” e nelle aree del Centro-Nord per l’estensione dei programmi di screening e della popolazione target da 50-69 anni a 45-74 anni. La cattiva è che presenta un trend comunque in crescita anche in alcune regioni del Sud, patria della dieta più salutare al mondo: quella Mediterranea. Una malattia in realtà con un’ampia variabilità geografica e tassi fino a 10 volte più elevati nei Paesi economicamente più avanzati.
Sta di fatto che oggi quasi 815 mila italiane hanno ricevuto una diagnosi di carcinoma mammario, pari al 44% di tutte le donne che convivono con una pregressa diagnosi di tumore e al 24% di tutti i casi prevalenti in entrambi i sessi. Tra tutte loro, la diagnosi è stata formulata da meno di 2 anni nel 16% dei casi, tra 2 e 5 anni nel 14%, tra 5 e 10 anni nel 23%, oltre i 10 anni nel 47%.
Le questioni ancora aperte da risolvere
Lo scenario complessivo della lotta al tumore al seno da affrontare e superare è rappresentato tuttavia da alcune problematiche tuttora aperte, e che si sono via via amplificate e complicate a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19:
- individuazione precoce della malattia
- diagnosi della lesione tumorale in donne sempre più giovani
- uniformità territoriale dello screening senologico, oggi a macchia di leopardo
- abbassamento dell’età dello screening, allargato possibilmente all’ecografia
- coinvolgimento attivo del mondo scolastico femminile sulla corretta informazione e insegnamento dell’autopalpazione
- periodici e codificati controlli clinico-strumentali per le donne già colpite da cancro al seno per l’individuazione di possibili recidive e/o metastasi
- prendersi cura di tutte le donne con un vissuto di cancro al seno e delle loro famiglie, con un approccio umano e personalizzato grazie alle ultime evidenze della ricerca. Ma soprattutto implementando i centri dedicati alla senologia: le ormai arcinote “Breast Unit”.
Un neologismo anglosassone che fa la differenza
Le Breast Unit sono in pratica centri specializzati nella diagnosi precoce del tumore al seno e le unità operative che le compongono possono essere dislocate in diverse sedi, che però operano come fossero un’unica struttura funzionale. Con quali vantaggi? Uno staff esperto di operatori sanitari, elevati standard di cura, terapie innovative, ma soprattutto una maggiore probabilità di guarire dal cancro al seno pari ad un +18%. Mica poco.
I centri multidisciplinari di senologia
Insomma, i centri multidisciplinari di senologia rappresentano lo stato dell’arte nella cura e nell’assistenza di chi affronta un tumore al seno. Abbiamo capito che una Breast Unit non è necessariamente un luogo fisico, ma un percorso unitario e multidisciplinare che va dal protocollo di indagini diagnostiche per la diagnosi precoce, agli approfondimenti diagnostici, alla riabilitazione post-operatoria fisica e psicologica, ai controlli nel lungo periodo ovvero i cosiddetti follow-up, compresa la gestione del rischio ereditario. Inoltre, al suo interno è presente anche un’associazione di volontariato.
Problema uno: essere un centro oncologico all’avanguardia non è sufficiente per i centri di senologia, che devono aderire a severi criteri di qualità che si ottengono attraverso una certificazione, come quella per esempio rilasciata dalla European Society of Breast Cancer Specialista |EUSOMA|, che provvede anche a verificare il mantenimento degli standard di qualità nel lungo termine attraverso controlli periodici. Problema due: per raggiungere e mantenere i più elevati standard di qualità devono certificare le proprie conoscenze teoriche e pratiche anche i chirurghi oncologici specialisti di oncologia mammaria.
Per approfondire l’argomento tutt’altro che peregrino siamo andati a scomodare il professor Francesco Meani, direttore clinico del Centro di Senologia della Svizzera italiana e capo servizio di Ginecologia e Ostetricia all’Ospedale Regionale di Lugano dell’Ente Ospedaliero Cantonale |EOC|.
Prof. Meani, che cosa l’ha spinta a spostarsi in Svizzera per occuparsi di chirurgia oncologica della mammella?
Una concomitanza di fattori. Dall’Università di Brescia ho seguito durante la specialità il Prof. Alberto Costa a Pavia, chiamato a ricoprire la funzione di direttore dell’Unità di Chirurgia generale/senologia alla Fondazione S. Maugeri, per poi trasferirmi come ricercatore negli Stati Uniti. Ero a Washington, quando ho ricevuto l’offerta di trasferirmi d’emblée in Svizzera a Lugano, nel Canton Ticino.
Quali sono i numeri principali che fotografano questo tipo di neoplasia?
Si tratta di un problema di portata mondiale. È il primo tumore femminile in assoluto per incidenza e prevalenza, seguito a ruota con un certo distacco da altre neoplasie: 500 mila nuove diagnosi l’anno solamente in Europa, 50 mila in Italia e 5 mila in Svizzera di cui circa 300-350 in Ticino. In pratica una donna su otto si ammala di tumore al seno nel corso della vita. Una delle maggiori chance di guarigione, oltre ad essere colpite dal sottotipo di carcinoma meno aggressivo, è in assoluto quello di ricevere una diagnosi precoce attraverso lo screening mammografico. Tutti i programmi di screening, però, vengono definiti in base ad alcune caratteristiche: l’impatto epidemiologico della malattia, l’esistenza di un test in grado di fornire una diagnosi precoce e la disponibilità di un trattamento che si può applicare in caso di diagnosi precoce e che deve dimostrare un vantaggio rispetto ad una diagnosi tardiva.
Dall’identificazione della popolazione a rischio ai conti della serva
Poi si deve identificare una popolazione più a rischio in base alla fascia di età e, infine, si fanno i “conti della serva”: si deve cioè valutare che cosa è meglio per le pazienti e che cosa è meglio per le tasche dello Stato, con l’obiettivo di trovare un compromesso. Generalmente in quasi tutti i Paesi si inizia lo screening a 50 anni con una mammografia gratuita ogni 2 anni fino a 70 anni; in qualche regione italiana lo screening viene esteso fino a 75. A questo punto si presentano due problemi: una mammografia ogni 2 anni è un intervallo di tempo troppo lungo da considerare. Dal punto di vista economico si può capire, ma da punto di vista biologico l’intervallo tra una mammografia risultata negativa e la successiva è troppo lungo per poter rilevare precocemente la possibile insorgenza di tumori, che noi chiamiamo “tumori di intervallo”. Idealmente la mammografia andrebbe eseguita una volta l’anno, come viene suggerito alle donne anche in Italia da qualsiasi ginecologo. Il secondo problema riguarda l’identificazione della fascia d’età critica per la diagnosi precoce: concentrarsi solo nella fascia che va dai 50 ai 70 anni significa perdere più del 50% di tutte le altre donne che hanno meno di 50 anni e più di 70. Per questo bisognerebbe estendere lo screening, anticipandolo prima dei 50 anni e posticipandolo dopo i 70 come già avviene, per esempio, in alcune regioni italiane. Purtroppo, la bilancia costi-benefici ci tiene per il momento ancorati alla fascia compresa tra i 50 e i 70 anni.
C’è in Europa un Paese che eccelle in questo campo della prevenzione?
Grosse differenze nella proposta dello screening in generale non ce ne sono. Ci possono essere differenze regionali o locali come avviene tra i diversi Cantoni della Svizzera, dove comunque dove non si effettua lo screening cantonale gratuito di fatto si fa lo screening “opportunistico”: cioè le pazienti vengono inviate a sottoporsi all’esame mammografico dal proprio ginecologo per anni, ma proprie spese. Forse il Nord Europa è quello che ancora una volta ha compreso meglio il problema e dove il tasso di adesione ai programmi di screening è più elevato che nei Paesi dell’Europa meridionale.
Professore, ma dispositivi come i “pad” per l’autopalpazione del seno sono utili o no per la ricerca di eventuali noduli sospetti?
Al di là di qualunque polemica, direi di no. C’è chi sostiene addirittura che l’autopalpazione del seno aumenta l’ansia della paziente per la paura di individuare “qualcosa”. Si tratta di device simpatici e interessanti anche da provare, ma la cosa più semplice da fare per evitare stati d’ansia inopportuni e al tempo stesso più efficace dal punto di diagnostico è spiegare alla paziente che non è necessario fare l’autopalpazione “scientifica” supina sul letto, il terzo giorno dopo il mestruo e nella posizione raccomandata dagli esperti con il braccio alzato e la mano appoggiata alla nuca. Tutto questo certo può alimentare preoccupazione ed ansia.
Fondamentale è entrare in “confidenza” con il proprio seno
La donna deve, invece, entrare semplicemente in confidenza con il proprio seno: basta per esempio palparsi il seno sotto la doccia, consapevoli che è un organo dalla morfologia irregolare e che questa irregolarità, se il soggetto è giovane, cambia prima e dopo la mestruazione con una ciclicità fisiologica. Quindi faccia pure con naturalezza questo tipo di manovra, senza troppe preoccupazioni e soprattutto senza l’impegno di “interpretare” quello che sente, che già è difficile per noi addetti ai lavori. Il giorno che dovesse rilevare un cambiamento radicale della morfologia del suo seno rispetto ai mesi precedenti, cambiamento che perdura nel tempo senza scomparire dopo 1-2 settimane, allora è il momento di rivolgersi al proprio ginecologo. Poi, nel 90% dei casi, scoprirà che si tratta di una cisti o di una innocua alterazione del tessuto ghiandolare della mammella. Ma nessuno, ripeto, meglio della donna stessa conosce così bene il proprio corpo e il proprio seno. Lo dimostra il fatto che, oggi lo possiamo confermare, la diagnosi viene fatta il più delle volte dalla paziente stessa. Il medico che vede la propria cliente una volta l’anno non può certo ricordarsi com’era la morfologia e le caratteristiche del suo seno rispetto all’anno precedente.
Che divario esiste oggi, tra i diversi Paesi europei, nell’assistenza alla donna con tumore della mammella?
Tra i vari Paesi ci sono certamente delle differenze, ma c’è soprattutto disomogeneità in senso culturale e filosofico, forse dovuta anche ad una cattiva percezione sia a livello generale sia a livello individuale di quale debba essere la preparazione del chirurgo senologo. Tutto questo contribuisce a diversificare l’offerta di assistenza offerta in diversi centri clinici: è chiaro che nei Paesi economicamente meno avvantaggiati il livello assistenziale offerto in questo senso è inferiore, ma ci sono anche Paesi che hanno un approccio culturalmente diverso verso questa problematica. La senologia è oggi una delle branche della medicina che, per la complessità che la contraddistingue, non più essere gestita da un singolo specialista. Al contrario va presa in carico da una molteplicità di specialisti che hanno in cura “quella” specifica patologia in “quella” specifica paziente.
L’expertise senologica come parabola della medicina di precisione
Quindi, si tratta di individuare il trattamento migliore per le caratteristiche specifiche di quel tumore al seno diagnosticato in quella, e solo quella, paziente e non per un generico tumore della mammella di una qualsiasi paziente. Per questo bisogna essere in tanti, è necessario essere tutti molto preparati, ma soprattutto bisogna parlarsi insieme e potersi capire. Per intenderci: si può mettere tutto nelle mani di un singolo specialista, che è lo scenario peggiore; si può gestire in gruppo, laddove però tutti gli specialisti agiscono fisicamente separati, quindi senza un’adeguata interconnessione; oppure tutti i componenti del team agiscono nella stessa struttura fisica e possono parlarsi direttamente, che rappresenta il modello più avanzato di una gestione moderna della senologia.
Per entrare nello specifico, oggi la terapia è multidisciplinare laddove tutti concorrono a raggiungere lo stesso obiettivo. Non è più sufficiente che il chirurgo senologo sia esperto in chirurgia della mammella, ma deve conoscere anche l’oncologia, l’anatomia patologica e la radioterapia della mammella se vuole offrire un livello di assistenza adeguato alla paziente con cancro al seno. Allo stesso modo degli altri componenti del team, che possono così sedersi allo stesso tavolo, parlando lo stesso linguaggio, discutendo le diverse opzioni e condividendo uno specifico trattamento per uno specifico tipo di tumore al seno per una specifica e solo quella paziente.
Un percorso di alta specializzazione dove imparare ad essere “trasversali”
Per ottenere questo è necessario un grado di preparazione ed esperienza adeguato. È ovvio che se oggi la preparazione di un chirurgo senologo è lasciata alle Scuole di specializzazione in Ginecologia e Ostetricia delle Università le quali, come in tutti i Paesi, devono giustamente occuparsi anche di altre patologie, e per tale ragione il seno viene visto come un organo semplice e superficiale, non vitale, sul quale non bisogna spendere nemmeno troppo tempo, allora lo specializzando in ginecologia arriva alla fine del suo percorso di preparazione dove la senologia ha avuto un peso marginale, senza aver avuto la possibilità di ottenere una preparazione di alto livello in tal senso. A questo punto, se si vuole proseguire il percorso in ambito senologico, è necessario impegnarsi per alcuni anni in corsi post-laurea successivi alla specialità universitaria, con l’obiettivo di imparare ad operare in contesti operativi multidisciplinari dove il valore aggiunto alla propria conoscenza è la “trasversalità” alle differenti materie mediche.
A questo punto, mi corre l’obbligo di chiederle quali requisiti deve avere un Breast Center?
Esistono per questo delle linee guida che definiscono gli standard minimi, a 360 gradi, ai quali una Breast Unit deve adeguarsi per praticare una medicina moderna in grado di offrire una grado di assistenza elevato alle pazienti con tumore al seno. Per questo sono disponibili certificazioni nazionali come la Swiss Cancer League ed europee come l’EUSOMA al fine di dare la possibilità a tali centri di soddisfare i requisiti richiesti – talvolta anche molto complessi – e raggiungere questi livelli di assistenza, anche se manca ancora un’omogeneità tra le diverse certificazioni. Una volta ottenuta la certificazione per la Breast Unit, perché non chiederla anche per tutti gli operatori sanitari che vi lavorano e, nel caso specifico, per il chirurgo senologo? Non a caso è la stessa Commissione europea ad aver stabilito che ogni donna ha diritto di ricevere con urgenza le migliori cure possibili per il tumore al seno indipendentemente dal luogo di residenza.
Una formazione di alto livello in chirurgia senologica costruita ste-by-step
Qui entra in gioco un nostro progetto – il Progetto BRESO – che, pur scontrandosi politicamente con interessi vari e differenti opinioni, non vuole sostituire nessuno, ma si sforza di collaborare con tutte le Società scientifiche che si occupano di trattamento del carcinoma mammario per consentire ai chirurghi senologi di ottenere un titolo specialistico post-universitario di 2° livello che consenta di raggiungere una preparazione adeguata ad operare nelle Breast Unit certificate. Purtroppo, per poterlo rendere possibile si devono superare difficoltà regionali anche legislative che consentano ai chirurghi stessi, attraverso adeguate “facility”, di spostarsi da una regione all’altra o da un paese all’altro dell’Unione per seguire il training necessario a certificarsi.
Il Progetto europeo BRESO verso uno standard di expertise chirurgica comune
La nostra idea, quindi, è stata quella di mettere d’accordo tutte le Società scientifiche coinvolte, portando a bordo anche le Associazioni di pazienti che hanno un alto peso specifico a livello politico e dell’opinione pubblica, per consentire non solo a chi esce dall’Università ma anche a chi opera già a tempo pieno come chirurgo senologo di completare modulo-dopo-modulo, secondo le proprie possibilità temporali, la propria preparazione fino ad ottenere la certificazione. Non si può certo chiedere ad un chirurgo che già opera sul territorio, diversamente da chi è appena uscito dall’Università, di mollare tout court il proprio lavoro per 2 anni per aumentare le performance della sua formazione. Da sottolineare che il curriculum non è statico, ma sarà rivisto e aggiornato dal gruppo di sviluppo del curriculum del gruppo europeo di certificazione per l’oncologia chirurgica del seno |BRESO| ogni 2 anni. La sfida per il gruppo di lavoro BRESO è ora quella di implementare il curriculum in tutti i paesi europei, date le differenze tra i paesi nei percorsi di formazione, nelle risorse e nelle società nazionali. Poiché la specializzazione del chirurgo si traduce in migliori risultati oncologici e in una maggiore soddisfazione delle pazienti, l’attuazione del Curriculum dovrebbe essere una priorità in ogni paese europeo. Per conoscere la filosofia e gli aspetti operativi della certificazione BRESO è possibile per chiunque consultare la piattaforma online, lanciata qualche mese fa, all’indirizzo web https://breastsurgeoncertification.com/, dove vengono elencate le Breast Unit con posti vacanti per visitor-ship o clinici per periodi di alcuni mesi fino a 1 anno, o le società disposte ad erogare borse di studio per sostenere il progetto.
Le Race for the Cure per aumentare l’impatto mediatico sul cancro al seno
Race For The Cure |RFTC| è il più grande evento mondiale ed europeo dedicato alla salute delle donne, con l’obiettivo di raccogliere fondi e fare “rumore” sensibilizzando l’opinione pubblica sull’importanza della diagnosi precoce del tumore del seno, che ogni anno “spegne” la vita di 130.000 donne. Una manifestazione sportiva che una volta l’anno coinvolge milioni di persone in tutto il mondo, 40 città solo negli Stati Uniti dove è nata e decine di città in Europa e, in particolare, in Italia che ha sempre vista una partecipazione sostenuta all’evento raccogliendo più di 50 mila persone. Quest’anno ha toccato anche la Svizzera, ma a causa dell’emergenza Covid-19 che ha impedito a tutti di partecipare fisicamente alla gara, l’evento ha potuto avere luogo solo virtualmente con l’occasione di postare messaggi e immagini individuali o di gruppo, e inviare fondi per sostenere RFTC. Un successo complessivamente parziale dati i tempi, sicuramente un successo per la Svizzera che ha partecipato per la prima volta con 298 presenze e per città come Roma con 2838 presenze, la metà circa del totale nazionale. Enigmatico il flop di metropoli come Milano ferme alla sbarra con sole 91 partecipazioni.
Spesso è il medico di famiglia ad indirizzare la paziente nel centro più conveniente
Attualmente nel nostro centro senologico afferiscono i due terzi dei casi del Canton Ticino, con una parte delle pazienti dispersa invece tra le numerose cliniche private del territorio. Come succede spesso è il medico di medicina generale che indirizza la paziente presso la struttura dove conosce altri specialisti o che è più vicina geograficamente. Per farci conoscere meglio, in quanto pensiamo anche di essere i più forti in questo campo, oltre alla Race abbiamo organizzato anche eventi più divulgativi in concomitanza con eventi musicali e artistici rivolti alla popolazione cantonale, per offrire alle donne la possibilità di ottenere non solo una consulenza ed eventualmente una diagnosi emessa da un Centro senologico certificato a livello europeo, ma anche una “second opinion” – come si dice in medicalese – sul loro stato di salute dando loro in questo modo la possibilità di orientare meglio il percorso di cura. Si rivolgono a noi anche pazienti provenienti da Francia, Italia, Germania e paesi dell’Est Europa perché la Svizzera è un Paese in grado di offrire strutture e attrezzature sanitarie per praticare una medicina d’avanguardia, ma con l’incapacità per il momento di poter registrare grandi numeri dal punto di vista statistico al pari di altri Paesi.
Il fenomeno migratorio per andare incontro all’offerta assistenziale migliore
D’altro canto, mentre non tutte le specialità mediche praticate in Svizzera raggiungono un alto livello di eccellenza, grazie allo sforzo unitario che vede coinvolti istituzioni, Società scientifiche e direzioni sanitarie, quello della clinica senologica cantonale è sicuramento quanto di meglio oggi si possa offrire in termini assistenziali alle donne con tumore del seno, che possono così accedere a strutture ospedaliere e ad opzioni diagnostiche e terapeutiche di livello superiore, tanto da poterci consentire – mi passi un termine che la medicina non ama a differenza dell’economia – di “coccolare” le nostre pazienti, senza la necessità di dimetterle rapidamente perché non abbiamo bisogni di liberare il posto-letto. Ripeto: questo non vale per tutte le specialità. La migrazione, per esempio, dei pazienti dall’Italia in Svizzera per la presenza di migliori strutture sanitarie con camere paragonabili in molti casi a camere d’albergo non va sempre di pari passo con la qualità dell’offerta assistenziale in tutti campi della sanità svizzera, a differenza della nostra rete di centri di oncologia senologica che ad oggi rappresentano uno dei fiori all’occhiello della sanità svizzera.
Giorgio Cavazzini