“Labyrinthus” è un film labirintico, enigmatico fin dal titolo. Un horror? Un noir? Un Un thriller? film metafisico? Come definire un film dalle atmosfere inquietanti che inizia con una citazione da Parmenide? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Ravasio, regista e Sergio Bonzanni, produttore e autore della colonna sonora. Il film vede la partecipazione straordinaria di Roby Facchinetti.
Maurizio Ravasio, cos’è “Labyrinthus”?
Credo non sia inquadrabile in un genere specifico. Il tema centrale è la Morte. All’inizio il titolo era “Il colore finale dell’anima“, ma un certo punto abbiamo pensato che quel “colore” fosse la memoria. La memoria come ricordo del passato, ma anche delle vite passate, non a caso a un certo punto nel film viene citato Platone e il Mito di Er, che parla proprio di quello, della memoria delle vite passate.
La memoria come filo rosso del film?
Ci aiuta a capire come mai alcuni personaggi siano ossessionati dal fatto di voler essere di continuo fotografate, ancora e ancora.
Il genere horror come strumento?
Ho scritto diversi romanzi horror, ma non m’interessa l’horror puro, alla Stephen King, ma per i suoi contenuti e suggestioni, spirituali, concettuali, filosofici. Sono molto interessato al tema della morte e a come è stato trattato in film così diversi da loro come “Il Settimo Sigillo“, “The Others“, “Vi presento Joe Black“, “Il sesto senso“, “Ghost“.
La morte come metafora?
Come collegamento, ponte, tra i vivi e i morti. Si può credere o meno, io stesso ci credo poco, ma mi sono servito di questa idea per il mio film: e se i morti potessero comunicare con i vivi e viceversa?
Durante le riprese sono successe bizzare coincidenze, a quanto pare.
Volevamo girare una scena particolare, di avvelenamento, e un amico mi ha presentato il proprietario di una villa che era la location perfetta per la scena. Quando ha saputo cosa volevamo girarci, il proprietario si è opposto.
E perché mai?
In un salone della villa c’era un grande quadro, spettacolare, inizio ‘800, che mostrava una dama del XVI secolo con in mano una coppa d’oro. Dietro di lei marito, figli, servitori. Il quadro rappresentava una dama che da questa coppa aveva bevuto del veleno, mente famigliari e servitori si agitavano per salvarla.
Sergio Bonzanni, cos’è “Labyrinthus”?
Un labirinto, un ribaltamento, in cui non si sa chi è vivo e chi è morto.
Di questo film è stato sia produttore sia autore della colonna sonora.
Due esperienze nuove. Avevo già scritto delle musiche per dei film, ma mai un’intera colonna sonora. Per questo film mi sono ispirato al sound di Keith Emerson, ma ho cercato di essere originale, senza suggestioni retrò.
Più difficile produrre o scrivere le musiche?
Di sicuro produrre. “Labyrinthus” è un film con attori non professionisti, tutti volontari. Una delle tante difficoltà era incastrare l’agenda delle riprese con gli impegni personali e di lavoro degli interpreti.
Come potremo vedere “Labyrinthus”?
Il distributore sta dialogando con alcune piattaforme streaming.
Carlo Faricciotti