Le cardiopatie congenite (CC), che colpiscono 1 neonato su 125 pari a meno dell’1% dei nuovi nati, rappresentano il 40% di tutte le malformazioni diagnosticabili subito dopo il parto e sono responsabili del 4% delle morti durante il periodo neonatale, cioè nei primi 28 giorni di vita. In Italia, secondo i dati della Società italiana di neonatologia |SIN| e della Società italiana di cardiologia pediatrica e delle cardiopatie congenite |SICP|, sono circa 4000 l’anno i neonati con una patologia cardiaca minore, che spesso si risolve spontaneamente, o con un quadro malformativo molto complesso che pone il neonato in immediato pericolo di vita, il cui percorso terapeutico è segnato da molteplici procedure invasive di tipo chirurgico e cardiologico. In questi casi il progresso delle tecniche chirurgiche e cardiologiche interventistiche ha permesso di raggiungere una sopravvivenza a 12 mesi superiore al 90%, quando diagnosi e trattamento vengano intrapresi tempestivamente. Stiamo parlando di trasposizione delle grandi arterie (1/1750 nati vivi), atresia polmonare (1/7000), coartazione dell’aorta (1/3300), stenosi aortica (1/2600) e ritorno venoso polmonare anomalo totale (1/10.000).

Diagnosi prenatale e programmazione del parto

La diffusione della diagnosi prenatale ha permesso, negli ultimi 20 anni, di programmare il parto in strutture dotate di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica, riducendo significativamente morbilità e mortalità di tali emergenze che comportano comunque ricadute su qualità e durata della vita del neonato cardiopatico.

In soggetti selezionati è possibile attuare una terapia interventistica fin dalla vita fetale, inserendo appositi cateteri attraverso l’addome materno con l’obiettivo di dilatare eventuali stenosi o aprire comunicazioni nel setto interatriale e favorire il circolo fetale. Interventi terapeutici, sia chiaro, che restano per il momento delle metodiche di trattamento non di routine possibili solo in centri di altissima specializzazione.

Per aumentare al massimo le probabilità di avere un bimbo sano è necessario dunque diagnosticare tali patologie congenite nelle fasi più precoci della vita del neonato, a partire dalla gravidanza, grazie allo sviluppo di tecniche di imaging sempre più avanzate tecnologicamente come l’ecografia e la risonanza magnetica nucleare. 

Diagnosi postnatale e screening con pulsossimetria

Durante la gravidanza il feto ha un circolo sanguigno molto diverso da quello presente dopo la nascita, fattore che contribuisce in molti casi a limitare o neutralizzare l’effetto patologico dell’anomalia cardiaca. Anomalia che può diventare evidente a distanza di ore o giorni dalla nascita, una volta completato il sistema circolatorio postnatale, con l’insorgenza dei primi segni clinici che accompagnano l’evoluzione della cardiopatia: distress respiratorio, cianosi, bassa portata cardiaca. 

Lo screening con pulsossimetria |POX| in epoca neonatale, che si basa sulla misurazione della saturazione di ossigeno nel braccio destro (preduttale) e degli arti inferiori (postduttale) circa 6-24 ore dopo la nascita per identificare uno stato di ipossia (<95% saturazione) o una differenza di saturazione superiore al 3% tra le misurazioni preduttali e postduttali, si è rilevata una tecnica molto utile per diagnosticare precocemente la maggior parte delle cardiopatie congenite e, insieme alla disponibilità della diagnosi prenatale, all’accuratezza della valutazione clinica neonatologica e alla tempestività delle cure, ha permesso di ridurre notevolmente la mortalità neonatale per cardiopatia congenita critica.

Alla ricerca di utili biomarcatori cardiaci 

Poiché la diagnosi ritardata di cardiopatia congenita è comunque associata a una maggiore morbilità e mortalità perioperatoria, per migliorare ulteriormente l’identificazione precoce di tali patologie la ricerca ha da tempo rivolto la sua attenzione alla messa a punto di test diagnostici semplici ed economicamente sostenibili che misurano biomarcatori cardiaci in grado di evidenziare precocemente una condizione di stress e/o danneggiamento del muscolo cardiaco. Come il frammento aminoterminale del pro-peptide natriuretico cerebrale di tipo B |NT-proBNP|, una frazione di una piccola proteina normalmente prodotta nel cuore e rilasciata in caso di sollecitazioni cardiache. Alti livelli di questo peptide e del peptide natriuretico cerebrale |BNP| si osservano, per esempio, nei pazienti con insufficienza cardiaca nei quali si evidenzia ritenzione di liquidi, aumento del volume plasmatico nei vasi arteriosi/venosi e sollecitazione/stiramento delle cellule muscolari cardiache. Il termine peptide natriuretico cerebrale |brain natriuretic peptide o BNP| deriva dalla prima sede nella quale questo ormone è stato rilevato.

Un test di screening su goccia di sangue essiccato

Grazie a test di screening che possono essere eseguiti su una goccia di sangue essiccato all’aria |DBS| questi peptidi indicano, perciò, eventuali anomalie o alterazioni morfologiche/funzionali a carico del cuore. Ma l’aumento dei livelli di NT-proBNP nel sangue, che in pratica riflette la diminuita capacità del cuore di far fronte alle richieste di sangue da parte dell’organismo, può essere universalmente utilizzato per identificare i neonati portatori di una cardiopatia congenita attraverso un semplice test di screening che si avvale della tecnologia DBS? A cercare di risolvere il quesito è stato il medico Henning Clausen, del Servizio regionale di cardiologia pediatrica all’University Teaching Hospital Ryhov di Jönköping in Svezia, insieme al team di ricercatori guidati da Petru Liuba, del Children’s Heart Centre dell’Università di Lund

La ricerca di NT-proBNP nei neonati cardiopatici

L’analisi DBS, spiegano gli scienziati nordici nello studio pilota pubblicato su JAMA Network Open | Pediatrics, rientra nei programmi di screening neonatale in tutto il mondo da molti decenni, e viene utilizzata principalmente per la ricerca di errori congeniti del metabolismo. I biomarcatori circolanti di cardiopatia sono stati, peraltro, studiati sia negli adulti con cardiopatia congestizia sia in piccoli gruppi di neonati e bambini con varie patologie cardiovascolari, mentre i peptidi natriuretici sono stati utilizzati nella ricerca delle origini fisiopatologiche dello scompenso cardiaco. Proprio il test per la ricerca del frammento aminoterminale del pro-peptide natriuretico cerebrale (NT-proBNP), utilizzato negli adulti con insufficienza cardiaca, si è poi rivelato utile anche per scoprire i neonati che necessitano di terapia intensiva neonatale, i bambini con ipertensione polmonare e cardiomiopatie, e bambini con varie tipologie di cardiopatia congenita. Ma si è trattato finora di piccoli studi su gruppi di popolazione molto limitati.

Uno strumento di diagnosi precoce universale

Eseguito su 115 neonati già 2 giorni dopo la nascita con un semplice prelievo di sangue capillare al tallone, il nuovo test DBS per la ricerca di NT-proBNP ha evidenziato da solo il 71% dei 34 bambini testati con malattia coronarica nota e il 68% dei casi critici di cardiopatia congenita. La combinazione del test DBS con lo screening della pulsossimetria ha aumentato il rilevamento della cardiopatia congenita fino all’82% e il rilevamento della CC critica fino all’89% dei casi. Il nuovo test DBS NT-proBNP, paragonabile secondo i ricercatori svedesi agli attuali standard di screening, ha ridotto al minimo la quantità di sangue richiesto pari a 3 μL |NdR, pari a 0,003 mL|, a differenza del test di laboratorio standard per NT-proBNP che richiede 500 μL |NdR, pari a 1,5 mL| di sangue raccolto in provetta con un anticoagulante come l’acido etilendiamminotetraacetico |EDTA|.

Risultati che suggeriscono come i biomarcatori cardiovascolari nei neonati possano essere utilizzati per l’identificazione tempestiva e accurata di una cardiopatia congenita, soprattutto in contesti con risorse sanitarie limitate, offrendo uno screening centralizzato per la diagnosi di cardiopatia congenita attraverso programmi di screening neonatali stabiliti dai sistemi sanitari di ogni Paese. I test di pulsossimetria, per quanto ben consolidati, presentano notevoli limitazioni nell’individuare danni o malformazioni cardiache neonatali. Certamente, sostengono gli autori dello studio svedese, il nuovo test DBS per la ricerca delle cardiopatie congenite richiede ulteriori indagini in coorti di neonati più ampie in grado di confermare i risultati per ora ottenuti.

Le raccomandazioni prima e dopo il concepimento

Con una raccomandazione finale ai futuri genitori da parte di SIN e SICP: quella di rivolgersi al proprio medico di fiducia al momento di pianificare una gravidanza, così da intraprendere tutte le misure preventive possibili idonee a prevenire l’insorgenza di malformazioni congenite fra cui l’implementazione della dieta con folati (da iniziare almeno 3 mesi prima del concepimento), l’adozione di stili di vita appropriati (evitare di assumere alcol durante l’intera gravidanza e nel periodo di allattamento) e la vaccinazione contro le principali malattie infettive a rischio teratogeno. 

In caso di diagnosi fetale o postnatale di cardiopatia congenita, la stabilizzazione medica del neonato e la presa in carico da parte di un centro di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica consentono, nella gran parte dei casi, un trattamento ottimale e la migliore garanzia di successo anche a lungo termine. 

Giorgio Cavazzini

Cardiopatie congenite
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3 pensiero su “Dalla Svezia nuovo test semplice e sostenibile per individuare i neonati affetti da cardiopatie congenite”
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