Sofisticata ed elegante come la sua musica. Che sia il folk dentro cui trovò nuove vie nella prima parte della carriera o le nuove sonorità che ha saputo estrarre dal jazz da un certo punto in poi, grazie anche alla frequentazione di totem della musica contemporanea come Jaco Pastorius, Herbie Hancock, Pat Metheney, Michael Brecker e soprattutto Charles Mingus.
“Joni Mitchell – Archives Volume 1: The Early Years 1963-1967”
Joni Mitchell, anche in virtù delle sue liriche ricercate, è una delle punte di diamante tanto del cantautorato femminile quanto della musica tout court, senza distinzioni di genere. Finalmente l’autrice canadese ha aperto i suoi scrigni per confezionare un cofanetto, il primo di una serie, dal titolo “Joni Mitchell – Archives Volume 1: The Early Years 1963-1967”, un’opera di 5 CD e un libretto di 40 pagine contenente foto d’annata e una interessante chiacchierata con Cameron Crowe.
Quasi sei ore di registrazioni inedite, siano esse live, radio o effettuate in casa che, disposte cronologicamente, ci raccontano come questa artista fosse già superlativa e matura ben prima del suo album di debutto, quel “Song to a Seagull” del 1968 poi conosciuto semplicemente come Joni Mitchell.
La voce incredibilmente trasparente e il suo vibrato di chiara derivazione folk UK
Sin dai nove brani per Radio Station CFQC AM nel 1963, quando ancora si esibiva come Joan Anderson, dove mostra già una voce incredibilmente trasparente che si appoggia di sovente al vibrato di chiara derivazione folk UK (tra queste “House Of The Rising Sun”, “John Hardy”, “Dark As A Dungeon”, “Tell Old Bill”, “Nancy Whiskey”, “Anathea”) si intuisce che razza di sensibilità musicale Joni Mitchell possedeva. Alimentata subito da nuova linfa ispiratrice che man mano la fecero uscire dal solco della tradizione seppur, come detto, interpretata a modo suo.
I prodromi dello sviluppo del suo cammino sono evidenti nell’emozionante live alla Canterbury House di Ann Arbor, Michigan registrato il 27 ottobre 1967 dove una Mitchell già ormai più scafata mostra tutta la sua personalità nel firmare un’esecuzione perfetta che rapisce la platea proponendo, tra l’altro, “Ballerina Valerie”, “Conversation”, “Cactus Tree”, la deliziosa e sognante “Morning Morgantown”, “Night In The City” e “Both Sides Now”.
Le improvvisazioni e le melodie fiabesche
Non meno toccanti i nastri registrati in casa, tra improvvisazioni e melodie fiabesche con una qualità sonora la cui imperfezione se possibile aggiunge pathos alle interpretazioni. A New York, siamo nel giugno 1967, registra “I Had A King” (poi finita sull’album d’esordio), l’inedita “Free Darling” (chissà poi perché rimasta nel cassetto), “Chelsea Morning” (recuperata nel secondo album, Clouds, del 1969) e una serie di altre canzoni stuzzicanti.
E ancora eravamo all’alba del suo inizio. Anzi, prima dell’alba. Prima della sua ora zero. Quello che ci avrebbe regalato dopo è ormai inciso nella storia della musica dell’ultimo mezzo secolo. Per la stragrande maggioranza delle sue colleghe (e collegi maschi) sarebbe bastato questo “scalda motore” per vivere di rendita. Lei invece ricostruì tutto dal 1968 per poi cancellarlo e dalle macerie dar linfa a nuovi suoni, nuove liriche visitando territori che ben pochi avrebbero trovati consoni con il suo modello di composizione. Che non si attenda troppo per i successivi volumi.
Corrado Ori Tanzi