È stata una donna insopportabile. Gelosa e irascibile, capricciosa ed egocentrica. E questo conta poco, se non per riempire una riga della sua biografia. Talmente brutta che una volta, camminando sul Pont des Arts di Parigi udì una donna proferire all’uomo con cui si accompagnava un commento così brutale sul suo volto che non riuscì mai più a dimenticare. Ma questo, salvo gli effetti nefasti sulla sua già bassa autostima, ha un riscontro ancora meno importante del giudizio sul suo carattere.
Quello che invece non va giù è che di Violette Leduc noi italiani abbiamo potuto in questi ultimi anni averne conoscenza solo grazie a un bel film del 2013, “Violette” di Martin Provost e, quando si ha la fortuna di trovarli, ben pochi titoli della sua bibliografia.
Neri Pozza ha da poco dato alle librerie la versione integrale di “Thérèse e Isabelle”, ma si spera che tornino nella disponibilità dell’intero pubblico dei lettori almeno romanzi come L’asfissia, La bastarda e La Follia in testa.
Il severo aiuto di Simone de Beauvoir
Nata ad Arras nel 1907 in seguito a un caldo incontro tra una cameriera e il giovanotto di una famiglia presso cui prestava servizio, Violette a 19 anni si trasferisce a Parigi e qui, mentre si guadagna la vita come segretaria della casa editrice Plon, incontra al Café de Flore, in piena Saint-Germain-des-Prés, incontra Simone de Beauvoir. Un incontro fatale per lei. Un innamoramento che, non corrisposto, la devasta. Simone ne apprezza però le doti di scrittrice e la aiuta in tutti i modi. Le paga la pensione, le fornisce somme di denaro, la incoraggia a scrivere, si impegna lei stessa a dare forma compiuta al manoscritto che l’amica le ha fatto leggere e che lei alla fine perora presso Gallimard. S’intitola Ravages, il celeberrimo editore se ne convince e da quel momento, siamo nel 1955, la sua vita prende il volo.
Sono un deserto che monologa
Oddio, un volo di notorietà e di conto corrente, ma la sua vita privata resta “un deserto che monologa”, come scrive lei stessa. Nessuno la vuole, questo è un dato di fatto. Tanto Sartre, Camus, Cocteau, Genet la apprezzano come romanziera quanto la tengono a debita distanza come persona. “Madame”, come lei chiama de Beauvoir, resta invece al suo posto, mai sopraffatta dalle pazzie da commediante di Violette che col tempo finalmente capisce che l’imperturbabilità e la saldezza nervosa dell’amica è qualcosa di più forte anche della sua pervicace sgradevolezza. Simone continua ad apprezzare il coraggio del suo pensiero, la libertà da ogni conformismo intellettuale.
Violette Leduc la “ricompensa ” con un nuovo bel colpo narrativo, La bastarda, ma soprattutto con Thérèse e Isabelle, un romanzo che è un’esplosione di sensi e il cui scandalo in Francia fa schizzare la sua popolarità al massimo. Se non può permettersi un amore allora ben vengano i soldi. Che ama quanto lo scrivere. Acquista un vestito dopo l’altro e, dentro questa compulsione, anche una casa a Faucon. Dove, dopo un po’ di pacata felicità, muore nel 1972 di cancro al seno.
Aveva appena capito che del mondo non le importava niente.
Corrado Ori Tanzi