L’ultimo punk rocker della musica italiana non è l’ultimo giapponese nella foresta in attesa che qualcuno gli comunichi che la guerra è finita. L’ultimo punk rocker, all’anagrafe Giorgio Canali, si ripresenta dopo due anni da Undici canzoni di merda con la pioggia dentro, ed è più che mai alive and kicking.
Tra rabbia e disillusione
Lui e i Rossofuoco, costretti dentro le pareti delle rispettive case dal lockdown, hanno dato forma a un disco che è uno schiaffo che vale un vaccino. Antidolorifico più per la testa che per il cuore contro gli effetti di una modernità che sa essere disgustosa di suo e messa a terra da un virus che ha sollevato tutta la sua vulnerabilità.
Venti il titolo. Composto nel 2020 e contenente venti canzoni. Musica che parla la stessa lingua di Joe Strummer, Mark Lanegan e David Eugene Edwards, liriche rabbiose e disilluse che se portano talvolta a Francesco De Gregori e Francesco Guccini è solo perché il canzoniere di Canali si trova nei piani alti della Biblioteca della Canzone Alta.
Voce che dà schiaffi
Il disco è un incastro di ritmiche che alimentano il timbro da combattente rock a supporto di chitarre ruvide che disegnano lampi e fulmini con ballate quiete sopra una sei corde arpeggiante o dipinte nella suggestione con un piano malinconico che apre alla voce grezza ed essenziale di Canali.
Già, la voce. Il suono che mette insieme tutto. Maleducata e calda, arrabbiata e pacata. Perfetta per raccontare. Per far detonare lo schifo che si è gonfiato dentro dopo aver osservato a sufficienza il presente e aver ripreso i conti sospesi col passato. Voce che punta occhi e il dito sul gattopardismo della società che si crogiola in una globale illusione (Eravamo noi) e che costruisce feticci che presto decolora (Inutile e irrilevante e Cartoline nere). Ma c’è ancora spazio per combattere (Circondati) per non finire in un’emergenza eterodiretta senza fine (Nell’aria), schiavi del consenso elargito per due caramelle regalate o per la paura iniettata dal Mangiafuoco di turno (Wounded Knee).
Prepariamo la nostra faccia
Canali autore spazia tra autocitazionismo (Come quando non piove più) e la cinica impressione che gli trasmette la cronaca (CDM), la libertà svuotata (Dodici), l’amore come stelo che riesce a bucare ogni colata di catrame (Acomepidì) piuttosto che come totem buono per ogni stagione (Rotolacampo, impreziosita dal cappello di un’armonica dylaniana che è un tuffo al cuore insieme a tutta la struttura che riporta echi andati del Bardo di Duluth).
E si esalta nella canzone più coinvolgente, almeno per chi scrive. La rabbiosa, amara e viscerale Morire perché, pezzo costruito perfettamente su un’apertura latin style e che riassume la statura compositiva di Giorgio Canale e Rossofuoco.
Non sono bei tempi questi. Forse lo saranno per sempre. Possibile non abbiano torto coloro che sostengono che siamo al primo anno di una nuova epoca che man mano rivelerà una faccia che non ci piacerà. Canzoni come queste servono a preparare la nostra.
Corrado Ori Tanzi