Quando sentiamo parlare di oftalmologia il nostro pensiero va immediatamente alla figura familiare del medico oculista, che armeggia con le lenti dal differente potere diottrico davanti al nostro naso, invitandoci a mettere a fuoco le minuscole letterine dell’alfabeto appese alla parete di fronte. Un’immagine quanto mai retrò e, oggi, distante dalla realtà.
«L’oftalmologia è una branca della medicina che, in generale, utilizza le innovazioni tecnologiche e, mai come in questo momento, è facile ipotizzare quali saranno gli sviluppi futuri che coinvolgeranno l’occhio, le sue malattie, ma anche il modo di vedere».
Ad affermarlo è il Professor Luca Rossetti, direttore della Clinica oculistica dell’Università Statale di Milano all’Ospedale Santi Paolo e Carlo, nonché presidente della Società di oftalmologia lombarda |SOL|, che ha da poco concluso virtualmente i lavori del 75° Congresso nazionale proiettato al futuro dell’oftalmologia. Attraverso questa breve intervista proviamo a farci dare una piccola suggestione di ciò che sta avvenendo in questo campo.
Professor Rossetti, mi rendo conto anche dai vostri più recenti studi presenti in letteratura quanto siano diventati importanti le tecniche di diagnosi evolute come la tomografia laser.
La tomografia ottica computerizzata |OCT|, o tomografia ottica a radiazione coerente, è un esame diagnostico non invasivo che permette di ottenere delle scansioni della cornea e della retina per la diagnosi e il follow-up di numerose patologie corneali e retiniche e nella diagnosi preoperatoria e nel follow-up postoperatorio della gran parte delle patologie oculari che necessitano di un intervento chirurgico. Si tratta di una tecnica di diagnosi per immagini non invasiva che utilizza un fascio laser privo di radiazioni nocive per analizzare le strutture oculari mediante sezioni ad alta risoluzione.
L’OCT permette di ottenere scansioni corneali e retiniche molto precise che consentono di analizzare nel dettaglio gli strati della cornea, la regione centrale della retina denominata macula e il nervo ottico. Una metodica di imaging che consente di rivelare e tenere sotto controllo nel tempo numerose patologie corneali e retiniche come la degenerazione maculare senile, la retinopatia diabetica e il glaucoma. L’OCT è un esame indispensabile nella diagnosi preoperatoria e nel follow-up postoperatorio in gran parte delle patologie oculari che necessitano di intervento chirurgico. Trattandosi di un esame digitalizzato, consente di mettere a confronto gli esami eseguiti nel tempo dal paziente, con la possibilità di fornire in questo modo delle mappe differenziali.
Ma è anche un esame fondamentale nella diagnosi precoce di alcune patologie: per esempio, nei pazienti affetti da glaucoma l’OCT è in grado di misurare lo spessore delle fibre nervose che circondano il nervo ottico evidenziando, in alcuni casi, un’alterazione precoce delle stesse nonostante la presenza di un campo visivo normale, consentendo di iniziare tempestivamente una terapia per rallentare la progressione della patologia.
Analogamente alla risonanza magnetica nucleare, l’OCT è una metodica che effettua un’analisi per strati del tessuto retinico, consentendone non solo la determinazione strutturale, ma anche quella funzionale attraverso l’evidenziazione di alterazioni intraretiniche quali le raccolte fluide (edema interstiziale o cistico, ecc.), la presenza di materiale anomalo (sangue, colesterolo) o di soluzioni di continuità a spessore parziale o totale (fori a spessore parziale o totale).
Sempre più spesso si sente parlare di “deep learning” anche in campo oftalmologico. Di che cosa si tratta precisamente?
Da sempre l’oftalmologia è in prima linea nell’uso degli strumenti di intelligenza artificiale |AI| che si è mostrata efficace nell’analizzare immagini di vario genere con l’obiettivo di identificare pattern ripetuti. Il deep learning, che tradotto significa “apprendimento approfondito”, non fa altro che produrre modelli statistico-matematici che, sulla base di enormi quantità di dati disponibili su un certo numero di casi – i cosiddetti Big Data – permettono la classificazione di nuovi casi. L’oftalmologia è una delle discipline in cui i sistemi realizzati con il deep learning hanno esibito le prestazioni più interessanti, per esempio nell’identificazione della retinopatia diabetica, della degenerazione retinica e della macula, solo per citarne alcune. Le potenzialità delle tecnologie basate sull’AI e sulle cosiddette reti neurali diffuse non devono però far trascurare elementi che suggeriscono comunque una certa cautela. È facile prevedere come tali tecnologie introdurranno cambiamenti importanti, tanto nella pratica oftalmologia che in quella di molte altre specialità cliniche, offrendo un supporto importante ai medici sia nelle fasi dell’inquadramento diagnostico, facilitando il riconoscimento di quadri patologici, sia al momento della prognosi, elaborando previsioni sul possibile andamento della malattia e suggerendo le scelte terapeutiche più appropriate e con maggiore probabilità di efficacia. Ma alla fine del processo decisionale dovrà esserci sempre il medico.
Quali sono le strategie di “drug delivery” oftalmico, ovvero delle tecniche e delle vie di somministrazione dei farmaci per curare le malattie dell’occhio?
La somministrazione di farmaci oculari è diventata un campo di ricerca sempre più importante. In futuro i progressi nella ricerca di sistemi di somministrazione dei farmaci oculari forniranno nuovi strumenti per il trattamento delle malattie degli occhi attraverso nuove modalità terapeutiche, per esempio virioni e anticorpi.
Già ora, comunque, i metodi di somministrazione dei farmaci sono in grado di fornire una durata d’azione prolungata, una somministrazione meno invasiva, una maggiore efficacia e una sicurezza più elevata, e non ultima una maggiore aderenza al trattamento rispetto ai farmaci convenzionali da parte dei pazienti. Oltre alle soluzioni in gocce da applicare alla camera anteriore dell’occhio, sono attualmente disponibili farmaci da utilizzare per via iniettiva intravitreale, subretinica, subcongiuntivale e perioculare, oppure sottoforma di micro/nanoparticelle e di impianti biodegradabili e non biodegradabili come i cilindretti che introduciamo nell’occhio all’Ospedale San Paolo di Milano.
Per non parlare dei farmaci a base di geni che, attraverso la sequenza nucleotidica di DNA, RNA o loro modificazioni, vengono utilizzati per indurre l’espressione genica, sopprimere la traduzione di mRNA bersaglio o per legarsi a uno specifico bersaglio proteico. Sono naturalmente farmaci nuovi, per i quali non abbiamo molti pazienti trattati in tutto il mondo, ma i dati disponibili per quanto limitati sono interessantissimi: dal momento in cui ricevono questa iniezione i pazienti non solo non peggiorano più, ma possono addirittura migliorare. Una conquista spettacolare dell’oculistica, che sta scoprendo sempre di più le componenti genetiche delle malattie e sta provando a correggerle in molti modi. Anche all’Ospedale San Paolo di Milano stiamo iniziando a fare delle sperimentazioni per alcune tipologie di retinite pigmentosa con una diagnosi certa e una mutazione conosciuta. Un concetto sicuramente nuovo, ma già pronto nel senso che sono terapie già praticabili. Quando queste terapie saranno disponibili per tutte le forme di malattia, avremo a quel punto sconfitto una delle cause di cecità più importanti nei giovani che è appunto la retinite pigmentosa.
Perché anche in campo oftalmologico si parla tanto di neuroprotezione?
Perché si sta scoprendo che esiste una componente di neuropatia in molte patologie dell’occhio, a parte il glaucoma che è una neurotticopatia. Per esempio, c’è una componente di tipo nervoso anche nella retinopatia diabetica o in alcune malattie della cornea: se abbiamo dei farmaci in grado di proteggere le fibre nervose o le cellule ganglionari della retina, noi possiamo evitare che nelle fasi più precoci del danno – rappresentato per esempio dalla microangiopatia causata dalla presenza di glucosio nel sangue dei pazienti con diabete – determini poi a cascata tutte le patologie visive. Per questo esiste una crescente evidenza di composti in grado di proteggere gli elementi nervosi, che anche in campo oculistico potranno avere un ruolo. Ci sono, insomma, delle buone premesse per avere a disposizione dei buoni neuroprotettori in un futuro non molto lontano, che potranno dare una svolta alla cura di malattie come il glaucoma responsabili di cecità.
Quali novità ci sono, invece, sui farmaci antiangiogenici che inibiscono il fattore di crescita endoteliale vascolare per il trattamento delle malattie della retina?
Gli anti-VEGF sono farmaci che hanno rivoluzionato la prognosi delle malattie oculari con una componente neovascolare come la degenerazione maculare, ma anche di malattie come la retinopatia diabetica caratterizzate dalla presenza di liquido edematoso. Lo sforzo della ricerca oggi è quello di sintetizzare nuovi farmaci sicuramente più efficaci rispetto a quelli attualmente disponibili, ma soprattutto in grado di essere somministrati con un numero inferiore di iniezioni. Trattandosi di patologie con costi sociali molto elevati, che impegnano grandemente i pazienti quasi sempre anziani con comorbilità, sapere che un anti-VEGF si può iniettare una volta ogni 6 mesi o in futuro addirittura una volta l’anno, cambierà notevolmente tutta l’organizzazione sanitaria per la dispensa di questa terapia che è anche molto onerosa.
Oggi la chirurgia robotica sembra ipnotizzare l’attenzione della gente e degli addetti ai lavori con possibilità quasi infinite. È così anche per l’oftalmologia?
La chirurgia robotica in ambito oculistico non ha per il momento un risvolto pratico importante, sebbene la microchirurgia che pratichiamo sia molto vicina alle capacità operative della macchina robotica. Tuttavia, sono numerosi i progetti per sostituire la mano del chirurgo quando deve mantenere una posizione impegnativa per periodi di tempo prolungati. Per esempio, per incannulare una vena retinica, un’operazione micrometrica che la mano umana fa fatica non solo a centrare, ma anche a rimanere ferma per alcuni minuti. L’assistenza robotica è oggi in grado di garantire queste operazioni molto delicate attraverso guanti speciali collegati a “trocar” microscopici che sono capaci di intervenire in tal senso. Un risvolto tecnologico che avrà un grande futuro negli interventi sulla retina dell’occhio, effettuando addirittura i punti di sutura nei trapianti di cornea e negli interventi di cataratta con gli stessi ferri del mestiere utilizzati dal chirurgo, ma con la precisione della mano robotica. Bisogna tener presente che il robot è un’apparecchiatura molto costosa e per gli interventi di routine, com’è quello di cataratta, i costi attuali sarebbero improponibili perché sono interventi che l’uomo riesce ad eseguire in breve tempo a costi molto più bassi.
Se l’impatto economico in questo momento sta frenando, non sarà certamente così in futuro. L’integrazione tra robot e OTC, cioè tra un braccio meccanico robotico e un’informazione di natura morfologica, consentirà alla macchina di fare delle cose assolutamente impensabili. È soltanto una questione di tempo. E il passo dalla chirurgia robotica alla tele-chirurgia è molto breve, quando la tecnologia di telecomunicazione 5G o superiore consentirà connessioni senza interruzioni tra l’operatore che agisce sul robot e l’esecuzione dei comandi. Sicuramente in futuro potremo pensare di portare una chirurgia di questo livello anche in assenza di équipe preparate per questo tipo di intervento, così da renderle esportabili in aree del mondo dove questi interventi sono impensabili. È una questione di tecnologia e di investimenti, ma il futuro dell’oculistica prevedo sarà molto robotizzato con l’aiuto della tecnologia OTC.
Giorgio Cavazzini