Se fosse di lingua anglosassone Gianluca Morozzi sarebbe più persone: Joe R. Lansdale per l’umorismo nero della sua scrittura, Bruce Springsteen per la capacità di tradurre in racconto artistico l’unicità dell’ordinario uomo moderno e il duo fumettistico Alan Moore/Eddie Campbell per come sa trasformare in prodotto letterario immaginari supereroi.
Autore noir di successo, scrittore per ragazzi, saggista, fumettista, conduttore radiofonico, una passione wendersiana per il rock con in pole position Bruce Springsteen e Bob Dylan e musicista lui stesso tanto da aver suonato con il compianto Andrea Parodi in un tributo a Vasco Rossi. Se domani si venisse a sapere che è diventato intagliatore di rami di alberi o che andrà in tour come uomo pignatta non ci sarebbe da stupirsi.
Bolognese. E questo è forse il marchio doc. Perché, almeno dagli anni Settanta a oggi, Bologna è la nostra “Parigi in minore” e “ombelico di tutto”. Solo un bolognese avrebbe potuto scrivere un romanzo claustrofobico come Blackout o un pulp con al centro il peggiore chitarrista del mondo (Despero).
Per TEA esce con Prisma, noir ironico e a tratti surreale, scritto con il suo inconfondibile stile brillante e veloce come una rock-track.
Il suo 2021 incomincia con un doppio colpo. Un romanzo per ragazzi e un noir a la Morozzi. Parafrasando il celebre adagio francese, la cattività forzata del 2020 ha provocato il genio?
Nei momenti più sconfortanti, come il lockdown di primavera, era importante trovare qualcosa per riempire i vuoti. Uno scrittore alla fine non chiede altro che avere il tempo per scrivere quello che gli gira nella testa e che magari tiene in attesa tra un tour di presentazioni e una sacrosanta vita sociale. Rinchiuso tra quattro mura, quantomeno batte sui tasti. E si libera.
Due ambiti narrativi del tutto diversi tra loro. Insomma, lei non smette di giocare su più fronti. Scommetto però che la definizione di “scrittore multitasking” la inorridisce un po’.
Preferisco “scrittore eclettico e non legato a un genere”, ma il senso è poi lo stesso. Mi annoierei moltissimo a scrivere sempre e solo storie noir o romanzi rock o vicende di supereroi bolognesi… l’alternanza mi mantiene vivo. E poi tra i miei altissimi modelli ci sono Neil Young, che ha passato una carriera tra acustico ed elettrico passando per sperimentazioni elettroniche, rockabilly e country, e il grandissimo Andrea Pazienza, che sapeva scrivere e disegnare in qualunque genere.
La sua natura fumettara non smette di farsi largo dentro la sua creatività letteraria. Ma cos’ha il fumetto di così intimamente suo da essersi conquistato in questi ultimissimi anni un’attenzione e una dignità anche nei salotti più snob dell’editoria?
Prima di tutto a questa domanda verrebbe da rispondere: ben arrivati, era ora. In Francia e in Belgio, per dire, il fumetto è considerato arte da lungo tempo, qui da noi è ancora qualcosa di insultante, il giornalino usa e getta da comprare ai bambini. Tanto che molte volte, per promuovere qualche graphic novel, si leggono cose del tipo “un fumetto che sembra un fumetto”. Cose che magari non si direbbero se si fossero lette le cose giuste, cose tipo L’Eternauta, From Hell, Pompeo o Rat-Man. Ecco: io spero che il meritatissimo successo di Zerocalcare abbia aperto qualche porta e abbattuto degli stupidi snobismi. Il fumetto è una doppia arte, parola e disegno, altro che arte minore!
Prisma invece è il romanzo che contiene il suo stampo doc. Il risvolto di copertina mi ha portato dalle parti di Raymond Chandler, almeno quanto al fatto che dà l’avvio alla storia. Ma immagino che la direzione sarà tutt’altra.
All’inizio gioco molto con gli stereotipi delle storie di detective, un po’ come il Charles Bukowski di Pulp: l’investigatore sgangherato, la dark lady, un caso che è un rompicapo senza uscita. E poi vado nella mia direzione, chiaramente. Ci troverete Houdini, un libraio identico a Bianconi dei Baustelle che cambia un farfallino al giorno, un ex commissario identico a Bruce Springsteen in Streets of Philadelphia, un metallaro bibliofilo noto come l’Orrido in veste di improbabile Watson, una comunità che ha fondato una religione da Cent’anni di Solitudine, una bambina scomparsa nel nulla in una cantina del quartiere Barca a Bologna, un escapologo con degli strani tatuaggi…
Com’è nata l’idea e com’è stata la sua gestazione?
Stavo leggendo un libro su Houdini. Dovevo scrivere un racconto su Sherlock Holmes, cosa che poi ho fatto, e ho scoperto l’amicizia di Conan Doyle con Houdini. Allora ho pensato a un suo emulo che tenta un’evasione in diretta Instagram, un Houdini dei tempi moderni. Un trucco che finisce male, per quella che è, con tutta evidenza, una morte accidentale. Lo è per la polizia, lo è per tutti, tranne che per la sorella della vittima, quella che propone il caso al mio investigatore. Eppure non ci sono indizi, segnali che le cose siano andate diversamente… da quest’idea iniziale ho giocato a rendere possibile l’impossibile. La chiave è: c’è una grande rivale della vittima, Prisma, colei che ha compiuto la più grande evasione di tutti i tempi. Qual è stata questa evasione?
Ci sono varie scuole che compongono il Grande Libro del Giallo. Quella americana, tra thriller puro, ritorno costante alla propria storia nazionale e horror; le varie sfaccettature europee più inclini a dare al noir un quadro ambientale e sociale attorno all’investigazione e quella classica inglese. Si sente di appartenere a qualcuna di esse?
Come dice Springsteen della sua musica: sono un alchimista, pesco un po’ di qua e un po’ di là per creare il mio stile. So quel che non so fare: non so scrivere di poliziotti e commissari o meglio, lo potrei fare dopo tonnellate di ricerche per non commettere errori procedurali. Non so scrivere il thriller puro, né di spionaggio. Sul giallo ho una visione classica, le due grandi domande “chi è stato?” e “perché?”, che diventano tre se si parla del giallo della camera chiusa. Il noir invece è come il rock: vuol dire mille cose diverse.
La letteratura contemporanea continua a fare di Bologna una fonte inesauribile di storie in giallo. Ci siete lei, Carlo Lucarelli, Loriano Macchiavelli, Giampiero Rigosi, Barbara Baraldi, Luigi Bernardi, tanto per citare i primi nomi. Addirittura John Grisham. Ce lo spiega come mai vi divertite a rendere la sua città, così solare, giocosa, dove si mangia che è un piacere, terra di crimini, sparizioni e pane per gli investigatori?
Questo è quel che dicevano proprio al grande padre di tutti noi Loriano Macchiavelli ai tempi del suo esordio: Bologna non era credibile come ambientazione per un noir, troppo paciosa. Poi abbiamo avuto alcuni piccoli dettagli come le pallottole sotto i portici e i carri armati in piazza nel ’77, la bomba alla stazione, il delitto Alinovi, la banda della Uno Bianca. Per cui, sì, è rimasto tutto il resto, la città solare, giocosa, dove si mangia con piacere, ma convive con la componente noir. Come diceva il grande Luigi Bernardi, per fare il tortellino, il classico piatto conviviale bolognese, bisogna che si sacrifichino tre animali diversi. Sangue e tortellini in brodo.
Quali sono i noir che ultimamente ha letto con più piacere?
Dunque, in questi casi io cerco di non citare mai amici, amiche e romanzi sui quali ho in qualche modo lavorato. Sfortuna vuole che quest’anno i migliori noir li abbiano scritti amici, amiche o siano romanzi sui quali in qualche modo ho lavorato. Ohio di Stephen Markley è considerabile come noir? Allora diciamo lui, visto che non mi sono mai ubriacato con Stephen Markley.
Il lockdown per fortuna non ha impedito qualche scorreria in libreria. Cosa le suggerisce il continuare a vedere il lancio di romanzi o pseudo tali in cui ad attrarre è solo il nome di qualche starlette del gossip e di celebrità televisive che, per quanto serie, non hanno nulla a che fare con la letteratura?
In questi obbrobri letterari cerco sempre di vedere il lato positivo: se certe schifezze fanno incassare denaro alle case editrici, poi magari quelle le impiegheranno per pubblicare esordienti o nomi meno famosi. Bisogna sempre vedere il lato positivo delle bestialità.
Quand’è che il Bologna Football Club tornerà a far tremare il mondo?
Al momento abbiamo dei giovani fortissimi a un passo dall’esplosione, una società solida che sta programmando da sei anni, uno stadio bello ma vetusto che tra un anno comincerà a cambiare faccia e ad ammodernarsi. Al momento c’è un po’ di delusione perché dopo sei anni, appunto, speravamo di essere più avanti nel percorso di crescita, ma ho la sensazione che manchi davvero poco. Quel che più manca a noi tifosi è poter tornare allo stadio, soprattutto.
Corrado Ori Tanzi