Talvolta non ci si rende conto di quanto sia importante comunicare le proprie emozioni, soprattutto se generano turbamenti troppo impetuosi persino per essere compresi da chi li prova. E’ il caso del protagonista di Once Upon A Youth, il documentario vincitore del premio come miglior documentario balcanico al Dokufest 2020 che il regista Ivan Ramljak ha presentato alla trentaduesima edizione del Trieste Film Festival.

Questo film è stato girato interamente con materiale fotografico d’archivio, supportato da alcuni voiceover narranti esperienze accadute a Zagabria alla fine degli anni ’90, dipingendo con innumerevoli sfumature una generazione di giovani che viveva una contemporaneità estremamente complessa. Abbiamo chiesto al regista di raccontarci qualcosa in più di questo documentario.

Prima di iniziare l’intervista, vorrei che mi raccontassi qualcosa di te e della tua carriera.

Ho 46 anni. Ho iniziato tardi a fare film, verso la metà dei miei trent’anni. Non avendo studiato filmmaking nel periodo dei miei vent’anni, ho dovuto guardare circa 10.000 film per imparare qualcosa. In un primo momento, ho lavorato a dei cortometraggi con M. Škobalj e per i successivi otto anni ho prodotto documentari da solo. Nel frattempo, ho lavorato come giornalista, redattore di riviste, critico cinematografico, organizzatore di concerti, dj, conduttore radio, commentatore televisivo di programmi sportivi… 

Quando hai iniziato ad amare il cinema e come hai capito che volevi diventare un regista cinematografico?

Mi sono appassionato al cinema quando ero un bambino piccolo. Mio padre non sapeva cosa fare con me, così mi portava al cinema. Era facile per lui, perchè non doveva parlare con me o fare qualcosa di particolare: dovevamo solo sederci e guardare il film. Ma le pellicole che mi portava a vedere non erano per bambini, bensì quelle che interessavano a lui, come Il Laureato o Cannibal Ferox. Quindi, io non capivo molto, ma ero comunque molto coinvolto. Durante gli anni del liceo, ho scoperto Bergman, Wenders, Antonioni, Jarmusch, Kaurismaeki e ho iniziato a sognare di dirigere il mio film personale. Così, per i successivi quindici anni ho cercato il coraggio di provarci. 

Parliamo adesso del documentario che hai presentato al Trieste Film Festival di quest’anno, Once Upon a Youth. E’ un film davvero commovente, realizzato con il materiale fotografico del tuo amico Marko Čaklovic’s. Perché hai deciso di presentare proprio questa pellicola in particolare all’edizione 2021 della manifestazione?

Beh… tu fai un film e poi lo presenti a festival diversi: è così che vanno le cose.

Si tratta del tuo primo documentario?

Once Upon a Youth è il mio quinto documentario e il mio primo film ritratto. Quattro dei miei documentari brevi che ho diretto prima di questo trattavano di spazi che una volta erano importanti per le persone, ma che ora non lo sono più. Baba Visnjina 38 parla di un giardino a Belgrado all’interno del quale vivevano delle persone, Kino otok si concentra sui cinema deserti delle isole croate, Home of the Resistance riguarda l’ormai deserto memoriale comunista a Kumrovec, luogo di nascita dell’ex presidente jugoslavo Tito, mentre Mezostajun è il frutto di una ricerca che evidenzia quanto il turismo stia contaminando la vita di un’isola. Once Upon a Youth è il primo dei miei documentari che si concentra sulle persone e non sullo spazio, sugli ambienti.   

Quando e com’è nata l’idea di fare un film con le fotografie del tuo amico per parlare di lui?

Un paio di anni fa ho realizzato che non esistevano testimonianze dell’esistenza dei lavori artistici di Marko. Se si cercasse il suo nome su Google, i risultati correlati corrisponderebbero più o meno a… nulla. Questo perché lui è nato prima dell’avvento di Internet. Al giorno d’oggi, qualsiasi cosa faccia chiunque è immediatamente online in varie forme. Così, lo scopo principale di questo progetto era di presentare il suo lavoro e, dato che questo è rappresentato prevalentemente da fotografie, mi è venuto naturale raccontare la storia attraverso di esse. Ho voluto che la parte visuale del film fosse costituita al 100% da materiale d’archivio, perché ho creduto che questo fosse il modo migliore per ricreare l’atmosfera del tempo e del luogo in cui è ambientata la narrazione, ovvero Zagabria alla fine degli anni ’90.

Cosa significa questo film per te? E’ davvero quello che tu e Marko avreste voluto scrivere insieme?

E’ stato qualcosa che ho sentito nel profondo di dover fare. Come amico, come filmmaker, come qualcuno che ha vissuto in quel posto e in quel periodo. Marko e io avremmo probabilmente creato un film diverso se fosse stato ancora vivo, ma non è stato possibile. Quindi, abbiamo questo.

Nel tuo documentario, ci sono molti personaggi che parlano, tutti i vostri amici: Marcela, Nevena, Vedrana e Sebastijan. Come hanno reagito all’idea di partecipare a un film che parlasse di Marko?

Hanno reagito in modo simile: erano entusiasti, ma anche un po’ impauriti di cosa sarebbe venuto fuori. A livello emotivo, la produzione della pellicola è stata molto difficile per tutti loro e anche per me. Abbiamo dovuto parlare dell’argomento sul quale abbiamo evitato di confrontarci per tredici anni: è stata molto dura, ma credo fermamente che sia stato anche un momento liberatorio. Sono veramente felice che a tutti sia piaciuto il film, alla fine, ed era molto importante che fosse così, per me.

Tutti i personaggi del film raccontano esperienze e aspetti diversi di Marko, ma alla fine tutte le storie combaciano tra loro. Qual è stata la scelta dietro alla scrittura dei testi del documentario?

Nulla era scritto a prescindere. Non avevo piani o strategie per queste interviste. Erano più che altro registrazioni di conversazioni amichevoli che abbiamo intrattenuto per ore. Alla fine, stavo creando il pensiero narrativo a supporto di quello che potevo mostrare con le immagini, ma prestavo anche attenzione affinchè i diversi racconti combaciassero tra loro. 

Al di là dell’esperienza con Marko, come hai vissuto gli anni ’90 e ’00 in Croazia?

Nella storia conosciuta da tutti, gli ’90 in Croazia sono considerati “anni bui”. Prima ci sono stati quattro anni di guerra (1991-1995) e dopo cinque anni di violenza istituzionale e conservativismo culturale. I sindaci eletti democraticamente a Zagabria sono stati costretti a dimettersi dalla propria carica dal presidente Tudjman, tutti i media indipendenti sono stati pesantemente censurati dal governo e la vita culturale era molto scarna. Alla fine della decade le cose hanno lentamente iniziato a cambiare grazie a molte iniziative indipendenti e sono fiero di averne fatto parte. Gli anni ‘00 sono iniziati con la morta di Tujman e con il cambio di governo le cose sono andate meglio. Sfortunatamente, da cinque anni a questa parte la Croazia ricorda gli ’90 in molti modi ed è terrificante.

C’è un messaggio che vuoi lasciare al pubblico che guarda questo documentario?

Con questo film ho voluto evidenziare l’importanza del comunicare i problemi e le emozioni ai propri cari. Marko era una persona meravigliosa, amata da tutti, ed era estremamente pieno di talento, ma non ha saputo esprimere ciò che lo tormentava e che, insieme alla nostra incapacità di vedere e comunicare tra noi cosa gli stesse succedendo, ha portato alla sua morte tragica e infelice.

Ringraziamo Ivan Ramljak per la sua disponibilità e per aver condiviso un’esperienza intima e importante con questo documentario estremamente profondo, che siamo sicuri riuscirà a veicolare in modo efficace un messaggio fondamentale sia per coloro che hanno bisogno di aiuto, ma non riescono a comunicarlo, sia per chi percepisce campanelli d’allarme provenienti dai propri cari e cerca la forza di stare loro accanto.

Valentina Geminiani

Ivan Ramljak regista di Once Upon a Youth
Ivan Ramljak regista di Once Upon a Youth
Ivan Ramljak regista di Once Upon a Youth
Ivan Ramljak regista di Once Upon a Youth
Ivan Ramljak regista di Once Upon a Youth
Ivan Ramljak regista di Once Upon a Youth
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