Americano di Washington, ma con radici finnico-russo-ebraiche, ottant’anni scavallati nel 2020, Jorma Kaukonen torna con un disco acustico insieme allo sconosciuto ai più John Hurlbut.
Il chitarrista di Hot Tuna e Jefferson Airplane nonché maestro del finger-picking, impedito dalla pandemia di partire per un tour con il fidato bassista Jack Casady, lo scorso anno decise di organizzare una serie di live nel suo Fur Peace Ranch in Ohio da trasmettere in streaming su Youtube.
In una di queste occasioni conobbe Hurlbut, con cui duettò. Una doppia chitarra con cui, tra l’altro, omaggiare John Prine, scomparso proprio qualche giorno prima. Questa la base per pensare e realizzare una registrazione che riassumesse un po’ questi tempi di quarantena del corpo e della mente.
Cover e un inedito
Il risultato è The River Flows, disco uscito per l’ultimo Record Store Day in edizione LP e quindi nel fiume di formati a cui ci siamo abituati. Note e canto che dialogano tra malinconia e convinzione del futuro, amarezza e necessità di passare all’azione, in ricordo di Spencer Bohren, cantautore amico di Kaukonen di cui nel disco vengono riprese due toccanti canzoni come Travelin’ e The Old Homestead, per chi scrive gli episodi più riusciti dell’intera operazione.
Fuori dalla finale Someone’s Calling, si tratta di una collezione di cover rivisitate e trasfigurate come The Ballad of Easy Rider (The Byrds), People Get Ready (Curtis Mayfield), Choices (George Jones), il brillante blues di Kansas City Southern (Dillard and Clark) e il gioiellino chiamato Across The Borderline (Ry Cooder) a proposto di sogni spezzati a cui dare forma con ritmo cadenzato.
Primitive sound
Tracce che spaziano nell’ampia pianura della roots-music americana, secche ed essenziali come il suono delle corde delle chitarre degli autori, con uno spleen più solitario rispetto alle versioni originali che tanto amiamo, creatrici di atmosfere che ci riportano alle radici da cui il suono americano è nato.
Una scelta radicale che premia il primitive sound di cui Kaukonen è fautore, pane e salame senza alcuno spazio per condimenti e abbellimenti del piatto. La resa acustica registrata live è impressionante, le corde pizzicate creano un afflato emotivo immediato, la purezza del suono scivola come acqua incontaminata. Blues, folk, country, spiritual, le etichette si sprecano ma non identificano quel che vorrebbero definire.
A tratti si ha la sensazione che armonie e melodie si siano fermate. In attesa che ritorni il canto è il flusso sonoro a trasportarci, anche quando insiste sull’espressione monocorde. Non era facile riunire tante canzoni così diverse, in qualche modo destrutturarle e conferire loro una nuova personalità uniforme.
Come detto, chiude il disco l’unico inedito: Someone’s Calling, scritto da Hurlbut. Pezzo che dimostra una chiara deviazione armonica e ritmica dal resto della compagnia e che come traccia finale trova la sua collocazione migliore. Forse un’indicazione per un nuovo volume acustico tra i due artisti, concepito solo da novità.
Nell’attesa, godiamoci The River Flows. In tempi di rumore, non solo pandemica, una vera magia.
Corrado Ori Tanzi