L’emigrazione italiana è un fenomeno migratorio su larga scala finalizzato all’espatrio che in vari periodi della storia e in più ondate ha riguardato l’Italia intera. Oggi i loro discendenti, gli “oriundi italiani” alcuni dei quali hanno la doppia cittadinanza, sono in tutto il mondo tra i 60 e gli 80 milioni. Ma qual è la loro storia, che cosa pensano della Madre Patria e che rapporto hanno con i nostri connazionali.
Ne abbiamo parlato con il dottor Pietro Paolo Poidimani, dirigente medico del Servizio di Odontoiatria-Stomatologia-Ortognatodonzia della ASST Milano Nord e giornalista, ma soprattutto presidente di Globe Italia, l’Associazione socioculturale per la storia e le tradizioni degli italiani in patria e nel mondo intitolata a “Giuseppe Pitrè”, primo titolare nel 1914 della cattedra di Etno-antropologia all’Università di Palermo. Originario di Noto, in provincia di Siracusa, Poidimani si adopera senza risparmio per promuovere culturalmente anche la storia dei Siciliani nel Mondo.
Paolo, quanti sono approssimativamente gli italiani e, in particolare, i siciliani nel mondo?
Se in Italia siamo attualmente circa 60 milioni, gli italiani al di fuori del nostro Paese di prima, seconda e terza generazione raggiungono i 60 milioni. Come dire: una seconda Italia. Basti pensare che a Buenos Aires, in Argentina, vivono oltre un milione di italiani, mentre a Chicago negli States sono almeno 800 mila. All’interno di questa popolazione all’estero i siciliani ammontano a circa 20 milioni.
Oltre a quella che presiedi, quante altre associazioni culturali ci sono con l’obiettivo di promuovere la vita e le opere degli italiani all’estero?
Il numero esatto non sono in grado di quantificarlo, ma per quanto ne so e attraverso i continui contatti con le persone che appartengono a questo mondo posso affermare tranquillamente che esistono tra 800 e 1000 associazioni che si occupano costantemente della vita di questi nostri connazionali. Io stesso ne conosco più di 500. Tutte peraltro dislocate nei cinque continenti.
Che cosa fa, in particolare, la vostra associazione per tenere forte il legame con le altre associazioni all’estero?
Se non consideriamo l’attuale situazione di emergenza pandemica che impedisce qualsiasi attività sociale in presenza, quando è possibile organizziamo eventi e manifestazioni di incontro culturale e sociale proprio qui, nel nostro Paese. A creare l’occasione per rientrare in Italia è spesso il periodo estivo, contrassegnato dalle ferie lavorative, quando si svolgono numerose le feste patronali cittadine e di paese in molte località del Sud.
L’occasione di incontrarci è anche un modo per rinsaldare e rafforzare le comuni origini, sentimento quanto mai forte da parte degli italiani che vivono all’estero, al limite della morbosità.
Ci puoi fare qualche esempio di italiani/siciliani che anelano di rivedere o addirittura di conoscere per la prima volta la terra dei propri avi?
Certo, per esempio René Gerónimo Favaloro, cardiochirurgo argentino considerato da molti il padre del bypass aorto-coronarico che eseguì per la prima volta al mondo il 9 maggio 1967 a Cleveland in Ohio, volle ripercorrere le origini dei suoi progenitori per sentire il profumo della terra e dei frutti dell’isola di Salina, in Sicilia, dalla quale erano partiti decenni prima. Manifestazioni che noi, residenti in Italia, spesso snobbiamo.
Altri esempi di connazionali che si sono distinti per il loro lavoro all’estero?
Un altro personaggio fulgido che ha onorato la nostra terra è collegato al monumento nazionale del Monte Rushmore, un complesso scultoreo nella roccia situato nello stato statunitense del Sud Dakota, sul massiccio montuoso delle Black Hills, formato da enormi blocchi granitici dove sorgono i ritratti scolpiti dei presidenti degli Stati Uniti d’America che hanno contribuito a migliorare il loro paese: George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln.
Un’opera grandiosa scaturita dalle mani di un italiano
Ad intagliarli dal 1927 al 1941 è stato Luigi Del Bianco, artigiano e scultore italiano naturalizzato statunitense, il quale fu scelto per lavorare a questo progetto grazie alla sua straordinaria abilità nell’ incidere emozioni e personalità nei suoi ritratti scolpiti. Originario di Meduno, in provincia di Pordenone nel Friuli, Luigi a soli 17 anni si imbarcò Del Bianco per l’America dove trovò lavoro nel cantiere del Monte Rushmore. A sua memoria, con un certo ritardo, venne depositata una targa per sottolineare l’enorme opera che occupò gran parte della sua vita fino alla sua scomparsa per silicosi.
Non bisogna dimenticare la nostra storia, quello che i nostri connazionali hanno fatto intorno al mondo. Altrimenti, come affermava Cicerone, sarebbe come restare per sempre bambini.
In un ambito forse più “politico” e circoscrivendo l’argomento ai siciliani nel mondo, mi puoi dire Paolo che cosa fa la Regione Sicilia per patrocinare le associazioni come la vostra e supportare questa cultura degli italiani all’estero?
Poco, per non dire nulla. Se in passato era presente una certa attenzione da parte degli enti locali e di alcuni settori della politica siciliana, dagli anni Ottanta in poi gli stimoli socioculturali maggiori verso gli italiani/siciliani all’estero sono da ascrivere unicamente alle associazioni come la nostra, che ne perpetuano la presenza e la storia originaria.
Personalmente chi mi ha aiutato a prendere coscienza di questa realtà è stata la città di Milano, dove ho conosciuto italiani dalle origini più diverse: pugliesi, triestini, piemontesi, sardi, friulani, veneti, e così via.
Che cosa bisognerebbe fare, a tuo parere, per incrementare e mantenere il collegamento con le comunità italiane e siciliane all’estero?
Quello degli italiani all’estero è, in realtà, un terreno fertilissimo. Quello che a loro manca è conoscere la nostra storia, che andrebbe diffusa e consolidata nella loro memoria per così dire “vergine”. Come capita quando li incontro lontano dall’Italia, genitori e figli di seconda e terza generazione, attentissimi a quello che accade da noi e “affamati” di notizie e cultura italica. C’è da chiedersi a che cosa possano servire i 103 centri di cultura italiani sparsi in tutto il mondo, considerando che la nostra è la quarta o la quinta lingua più parlata urbis et orbis. Se non si fa nulla, anche la nostra cultura è destinata a morire.
Sembra quasi che la vera Italia si riesca a trovare “fuori” dai confini nazionali?
Quando a Boston, a New York, a Philadelphia, a Brooklyn incontro i nostri italiani, mi sento dire che i veri depositari della cultura e della storia d’Italia sono ancora loro, non noi che abitiamo il Paese reale. Noi, a quanto pare, l’abbiamo persa perché non ci interessa più.
Da esperto giornalista quale sei, ci sono periodici editi all’estero per gli italiani e i siciliani lontani dalla patria?
Assolutamente si. Ne vengono stampati moltissimi: alcuni hanno interrotto la pubblicazione, ma altri sono ancora vivi e vegeti con una tradizione pluridecennale. Ne sono un esempio il Progresso, il Fanfulla diffuso da oltre 170 anni, il Giornale di Tunisi e molti altri. Tutte pubblicazioni da ogni parte del mondo presentate ancora oggi nel corso della Settimana della cultura e della Fiera millenaria di Gonzaga nei pressi di Mantova, la seconda settimana di settembre.
Insomma, l’Italia “vera” è quella che si incontra all’estero. Ma allora qui chi c’è rimasto?
Giorgio Cavazzini