Grazie alla capacità di trattenere volontariamente il respiro per un limitato periodo di tempo, l’uomo ha imparato ad immergersi in acqua dapprima per il proprio sostentamento e in seguito per attività sportive e ricreative. Verosimilmente l’uomo pratica l’immersione in apnea da secoli, come testimoniano i resti archeologici della pesca di ostriche e di coralli che risalgono al 5000 a.C. Per non parlare di Erodoto, che descrive un pescatore greco di nome Glauco capace di immergersi a –100 metri con apnee di 10 minuti, e di Tucidide che racconta come gli Ateniesi si siano serviti di incursori subacquei per attaccare Siracusa nel 414 a.C. O di quegli straordinari apneisti greci che raccoglievano spugne e coralli nel mare Egeo o dei sub giapponesi capaci di 120 apnee al giorno con un tempo di immersione superiore a un’ora.
Meno risorse marine e più “bombolari”
Tutte attività storiche che nel tempo sono andate a dissolversi, a causa della diminuzione delle risorse marine e soprattutto dell’avvento di respiratori e bombole subacquee. Ma la progressiva “scomparsa” degli apneisti professionisti in tutto i mondo è stata ampiamente controbilanciata dall’attività di immersione in apnea ricreativa/sportiva, tanto da rendere difficoltosa la stima dei praticanti in tutto il mondo. Solamente in Italia il numero dei cultori di questa attività ruoterebbe intorno al mezzo milione l’anno, suddivisi tra “atleti d’élite” alla ricerca di performance straordinarie e “apneisti della domenica” che, in tempi di Covid, purtroppo non possono cimentarsi nemmeno in piscina. Figuriamoci in mare.
Modificazioni fisiopatologiche indotte dall’apnea
Immergersi in apnea rimane, tuttavia, una cosa seria da non prendere sottogamba, a cominciare dalle condizioni di salute di chiunque voglia praticarla da sottoporre al vaglio dei clinici. Le variazioni pressorie che subisce il corpo in immersione hanno effetti non solo sulla struttura di molti organi, ma anche sulla loro funzione con tutta una serie di conseguenze: centralizzazione della massa ematica dalle zone periferiche del corpo verso il tronco, alterazioni del pattern respiratorio, modificazioni della meccanica toracica con importanti effetti sulla volumetria statica polmonare e ridistribuzione del sangue dalle zone basali dipendenti dalla gravità verso le regioni centrali e apicali del polmone stesso.
Le variabili che influenzano l’immersione
Last-but-not-least, particolarmente cruciale è la dinamica di scambio dei gas respiratori, che qui vede coinvolti solamente l’ossigeno e l’anidride carbonica a differenza delle immersioni con respiratore che vengono effettuate utilizzando anche altri gas, tra il distretto polmonare alveolare e il circolo ematico. Infine, l’apnea è ulteriormente influenzata da fattori anatomici, fisiologici, psicologici, dalle abitudini e dallo stile di vita del subacqueo come il fumo di sigaretta, da stress e allenamento. Tutte variabili, insomma, che possono condizionare la durata di un’immersione in apnea.
La penuria di strumenti per monitorare la discesa
Se per lungo tempo gli apneisti hanno dovuto fare a meno di strumenti in grado di monitorare qualche dato corporeo, che non fosse un semplice orologio sub, è molto recente la produzione di computer da polso tradizionali incapaci tuttavia di offrire informazioni in tempo reale sulle condizioni fisiologiche del subacqueo in immersione, con la difficoltà tutt’altro che irrilevante di dover distogliere la concentrazione dalla discesa verso il fondo per leggere qualche dato numerico sul display avvolto sul polso. Oggi, per fortuna, iniziano ad affacciarsi sul mercato dell’industria sportiva anche dispositivi “wearable” altamente tecnologici in grado di snocciolare una quantità di dati impressionante di cui possono fruire dilettanti e sportivi per tenere sotto controllo le proprie performance e, in molti casi, anche la propria salute.
Dal computer da polso al wearable ultratecnologico
Per restare nel campo dell’apnea abbiamo intervistato Claudio Mattavelli, CEO e fondatore con altri due ingegneri della startup Oxama Diving di Milano, che lo scorso gennaio ha presentato alla 54° edizione del Consumer Electronic Show |CES| 2021 di Las Vegas un innovativo dispositivo wearable da introdurre sotto la maschera sub, dotato di diversi sensori capaci di acquisire in tempo reale la frequenza cardiaca |bpm| e la saturazione di ossigeno nel sangue |spO2%|, oltre ai classici parametri ambientali d’interesse per l’apneista: temperatura dell’acqua |°C|, profondità |m|, velocità di discesa/risalita |m/s|, direzione del capo rispetto alla direzione del corpo |deg| e direzione del corpo durante la discesa/risalita |deg|. La novità, se così possiamo chiamarla, è quella per cui i dati non devono essere ricercati sul display dal subacqueo, ma vengono dispensati continuamente attraverso messaggi vocali. In questo modo non ci sono distrazioni che possano influenzare l’assetto idrodinamico e la massima concentrazione dell’atleta.
Claudio, com’è venuta a tutti voi l’idea di creare una startup per produrre Oxama, un dispositivo che vuole rivoluzionare il mondo dell’apnea?
Essendo tutti e tre apneisti, durante i nostri allenamenti ci siamo resi conto di un problema importante: cioè quello di migliorare le nostre prestazioni che dipendono, oltre che dal nostro stato di salute e benessere fisico, anche dal consumo di ossigeno durante la performance. Domande alle quali attualmente non c’è una vera risposta in termini di strumentazione disponibile sul mercato.
Un’esigenza legata ovviamente alla performance sportiva, ma anche alla sicurezza individuale o sbaglio?
Certamente. In piscina la sicurezza è garantita dalla presenza dei tuoi compagni e del coach, mentre in mare c’è generalmente un compagno a sovrintendere l’immersione. Ma in quest’ultimo caso le condizioni dell’ambiente marino sono più ostiche di un ambiente protetto come la piscina, fattore che induce a limitare le prestazioni per rimanere per quanto possibile in “zona di sicurezza”. In piscina, dove tutte le variabili sono sotto controllo, si tende a spingere la prestazione al massimo senza incorrere in quella condizione di blackout che tutti gli apneisti temono: la sincope. In mare non si può.
Ma come si fa a sapere di essere quasi al limite durante l’apnea?
Attraverso il monitoraggio di alcuni parametri vitali e ambientali trasmessi da un dispositivo come il nostro, che sottolineo non è proposto sul mercato come un dispositivo di sicurezza, ma va da sé che tenere sotto controllo alcuni dei dati più importanti per l’immersione in apnea avvantaggia indubbiamente anche la sicurezza generale del subacqueo.
Il wearable che avete studiato si può applicare a tutte le maschere subacquee presenti sul mercato, ovviamente ottimizzate per questo tipo di immersione, oppure ad una o più maschere specifiche per l’inserimento del dispositivo?
Praticamente il nostro dispositivo nasce per essere inserito in una maschera commerciale di qualsiasi tipo, senza per questo fornire la garanzia che possa andar bene su tutte, ma sulla maggioranza di quelle presenti sul mercato sì. Il progetto nasce con l’idea di adattare il wearable all’interno della maschera ottimale utilizzata da ogni subacqueo che si rispetti, senza costringerlo a modificare la sua attrezzatura. In realtà la versione che si può vedere nelle immagini è ancora un prototipo: attualmente stiamo lavorando ad una versione miniaturizzata, di dimensioni quindi ancora più piccole, in modo da aumentare il ventaglio di maschere presenti sul mercato in cui poterlo alloggiare. È chiaro che introducendo il device all’interno di una maschera di medio volume, il volume d’aria si riduce ulteriormente con uno sforzo ancor più ridotto per compensare la pressione esterna da parte del sub.
Come fanno i sensori di cui è dotato il dispositivo a raccogliere i parametri biometrici e ambientali da trasmettere poi al free diver?
Per i parametri biometrici c’è un sensore basato su fotopletismografia ottica a 4 lunghezze d’onda (PPG), non invasivo, che misura continuamente la frequenza cardiaca e la saturazione di ossigeno nel sangue durante le immersioni, i due parametri più importanti per monitorare le condizioni di salute e per migliorare la sicurezza e le prestazioni del subacqueo. Le misurazioni vengono raccolte direttamente sul viso del subacqueo per superare il problema della bassa perfusione sanguigna osservata nelle braccia e nelle dita in immersioni profonde a causa della pressione idrostatica.
Per i parametri ambientali, invece, c’è un sensore di pressione digitale ad alta precisione che misura profondità e temperatura, mentre un sensore accelerometro/bussola digitale a 6 assi misura l’accelerazione, l’orientamento spaziale e la direzione geomagnetica. Sulla base dei dati raccolti dai sensori vengono calcolati molti parametri utili: profondità, velocità ascendente e discendente, angolo di postura XYZ della testa e accelerazione, direzione della bussola.
Non ultimo, è presente un trasduttore audiometrico a trasmissione ossea per comunicare tutti questi dati al subacqueo, che così può concentrarsi sul profilo della propria immersione senza inutili distrazioni, con la possibilità di modificare istantaneamente possibili errori di posizionamento idrodinamico del corpo e lasciare liberi i meati acustici per le eventuali manovre di compensazione durante la discesa.
In quale lingua parla la voce “narrante” del dispositivo che aggiorna in tempo reale il sub e ci sarà la possibilità di fare l’upgrade del firmware del device?
Nel modello base del dispositivo che abbiamo progettato è presente la sola lingua inglese, ma in seguito si potrà scaricare dal web la lingua del paese in cui verrà commercializzato. Peraltro, i comandi del dispositivo saranno completamente programmabili da parte dell’utilizzatore grazie ad un app da scaricare sullo smartphone: per esempio la frequenza di aggiornamento nel tempo dei dati da parte del dispositivo, così come le soglie di tutti gli altri parametri che possono così essere personalizzate. Anche il software del dispositivo potrà subire inseguito miglioramenti degli algoritmi, che potranno essere così aggiornati da ogni utente.
Può l’apneista valutare, attraverso i parametri snocciolati dalla voce del dispositivo, quando l’immersione rischia di entrare nella zona “rossa” dovuta alle modificazioni circolatorie e agli scambi gassosi che sono cruciali sia durante la discesa in profondità, ma soprattutto nella risalita in superficie?
Gli ultimi metri della risalita sono quelli in cui si osservano i rari episodi di sincope. Proprio per evitarne il rischio nei limiti delle possibilità umane, e non dell’imponderabile, abbiamo in previsione di effettuare delle campionature della saturazione di ossigeno nel sangue alle varie profondità, sia sul campo sia in camera iperbarica, in modo da calibrare in modo specifico il nostro dispositivo. In questo modo l’apneista potrà fare riferimento non solo sulle proprie sensazioni, come facevano i subacquei storici, ma su un indice vitale di estrema importanza per evitare di entrare in quella zona di “non ritorno” che tutti quanti scacciamo dai nostri pensieri. Una cosa importante da sottolineare è che il device che abbiamo messo a punto è in grado di fornire i tempi di recupero per una nuova apnea non in base ai tempi di immersione, come viene calcolato da tutti i wearable da polso in commercio, ma in base alle effettive condizioni fisiche del subacqueo che ha appena effettuato un’immersione.
Insomma, Oxama è un device progettato per aiutare gli apneisti a conoscere meglio le condizioni fisiologiche del proprio corpo durante un’immersione in apnea. In questo modo ogni apneista può stabilire una correlazione molto stretta tra i dati acquisiti e le sensazioni percepite in modo da poter agire di conseguenza e in modo più consapevole. Essendo un allenatore virtuale, Oxama è utile ai principianti, agli apneisti sportivi e ai pescatori. Dopo l’immersione, tutti i dati salvati sulla memoria del dispositivo possono essere scaricati su smartphone dotato di Bluetooth ed app Oxama. Inoltre, tutti i dati di immersione, grafici, correlazioni, risultati di allenamento e record potranno essere analizzati e condivisi con la comunità degli apneisti sulle piattaforme dei social network. A maggio, partirà la campagna di crowdfounding prima del suo lancio. Non vediamo l’ora di provarlo.
Giorgio Cavazzini