Se non è proprio questione di giorni o anni, l’Apocalisse è un’opzione più reale che legata alla fantasia di qualche artista visionario o sostanza per spettacolare fiction. Ce lo dice Don De Lillo nel suo ultimo romanzo (più un racconto lungo a dire il vero), Il Silenzio (Einaudi, 124 pagg., 14 euro). E una delle facce con cui si può mostrare la fine del mondo è l’improvviso e totale black out della tecnologia.
L’assenza che trasforma tutto in silenzio e il silenzio che inghiotte le vite degli umani. Come quelle dei protagonisti, la coppia Jim e Tessa, che sta ritornando in aereo a New York, e Diane e Max, gli amici che li aspettano per gustarsi a casa il Super Bowl del 2022.
Paralisi totale
L’aereo prende a vacillare, lo schermo televisivo diventa nero, la metropolitana si ferma e così gli ascensori, gli uffici si svuotano, i cellulari si spengono, le radio pure. Non si può inviare nemmeno una mail. Paralisi totale. La morte digitale trasforma man mano le persone che si annodano in un autismo sordo che le conduce a sproloqui che evidenziano la chiara incapacità di comunicare tra loro.
La tecnologia le ha assorbite in un mondo fallacemente condiviso e il silenzio delle macchine ora rivela quanto siano inabili a ritrovare il filo di un diretto legame con i propri simili. Non solo non utilizzare il proprio dispositivo, ma il non riuscire più a sentire il suo peso in tasca, non sapere di avere un essere vivente nella borsetta, non avvertire più il rumore che fa è la condanna a morte del genere umano.
No smartphone no aria
Si è spento il sole. Anzi peggio. Si è spento l’universo. Non troviamo più il nostro doppio, lo specchio che ci riproduce senza riflettere in modo diametralmente opposto le nostre proporzioni. Avendo dimenticato come si fa a pensare in modo “analogico”, quello dell’era pre-smartphone, ci vediamo derubati del gesto di farlo in modo istantaneo. Tornare al modello riflessivo? E come si faceva?
Questo il reale virus secondo lo scrittore newyorchese del Bronx, altro che la pandemia che ci sta decimando senza modificarci. Dentro un linguaggio volutamente asettico, se non quando proprio algido, architettato con un uso quasi continuo della forma dialogica, si dimena la reazione impaurita della popolazione per l’improvviso impoverimento che si vive con più panico di un’improvvisa mancanza d’aria.
Come fare, per capirci qualcosa, se non abbiamo il cellulare che ci dice che cosa sta accadendo? Che cosa ci resta se non gridare al complotto da parte di non si sa chi verso il genere umano? In attesa di sapere qualcosa abbandoniamoci a monologhi sconnessi, frutto di un inaspettato svuotamento del cervello, ormai privo delle periferiche online che non disattiviamo neanche quando andiamo a dormire.
Un regalo per l’umanità
DeLillo non è nuovo a ipotesi letterarie così perentorie. Underground raccontò il black out a New York del 1965, ma si trattava di un’umanità disorientata, certo pericolosa ma non svuotata nell’anima per mancanza di elettricità e campo. Nel Silenzio si respira un’aria più vicina alle storie di Thomas Pynchon o Philip Dick, anche se l’iniezione di assurdità che DeLillo immette non può non portare alla tragica leggerezza comica di Eugène Ionesco.
Ma c’è poco da fare. L’extraletterario qui supera il metaletterario. A 85 anni DeLillo, per scelta privo da sempre di cellulare, ci lascia questa testimonianza. Il triste regalo che noi abbiamo fatto a noi stessi.
Corrado Ori Tanzi