Il cancro al seno è il secondo tumore primitivo più comune in grado di raggiungere il cervello e sviluppare metastasi nel 15-30% delle pazienti colpite. Metastasi che rappresentano in questo caso una delle principali cause di decesso. A disseminarsi e proliferare con particolare aggressività nelle donne colpite da questo tumore, mettendone a rischio la vita, è un sottotipo di carcinoma, definito “basal-like” o di tipo basale (BLBC), la cui incidenza in tutto il mondo è aumentata negli ultimi anni sia per il miglior controllo clinico delle manifestazioni extracraniche del tumore, sia purtroppo per la scarsa penetrazione dei farmaci oncologici nel sistema nervoso centrale. 

“Brutto attacco” direbbe non solo il mio direttore, ma qualunque direttore di giornale che si rispetti. Ma se questa è la cattiva notizia, ce ne dev’essere per forza anche una buona, come accade in qualunque articolo scritto per informare un pubblico curioso.

Le alternative terapeutiche non farmacologiche

Attualmente la radiochirurgia stereotassica (SRS), la resezione chirurgica e l’irradiazione dell’intero cervello sono le opzioni di trattamento più comuni per questo tipo di tumore metastatico. Se per le formazioni rilevabili fino a 3 cm c’è un’indicazione favorevole per la SRS, per i tumori di dimensioni maggiori l’unica opzione valida è la resezione chirurgica con il rischio però di risparmiare involontariamente cellule neoplastiche invasive residue, cellule tumorali dormienti non rilevabili che alla fine causano le temute recidive, ovvero le ricadute di malattia.

Dunque, dicevamo, la prognosi nelle pazienti con metastasi cerebrale da BLBC è generalmente infausta, poiché la barriera emato-encefalica – che separa l’organo di integrazione superiore dalla restante casta di organi inferiori ad ulteriore protezioni delle sue funzioni – impedisce alla maggior parte delle terapie, inclusa la terapia ormonale o molecolare mirata, di raggiungere proprio il cervello. Anche testare nuove terapie negli studi clinici è impegnativo, perché i modelli animali nei quali riprodurre le condizioni patologiche assimilabili a quelle umane sono limitati. 

Una nuova molecola consegnata da cellule staminali

Ad esserne pienamente consapevoli – ecco la buona notizia – sono i ricercatori del Brigham and Women’s Hospital dell’Università di Harvard a Boston, in Massachusetts, che hanno messo a punto una molecola bimodale in grado di sopprimere il tumore attraverso messaggeri che, in questo caso, sono destinati a “portar pena”: le cellule staminali. In uno studio, pubblicato il 3 marzo scorso su Science Advances, hanno testato questa metodica terapeutica innovativa in tre nuovi modelli murini di tumore metastatico da BLBC, che imitano i tumori umani, con il risultato di prolungare con successo la vita dei topi. 

Dopo aver individuato gli obiettivi chiave che sembrano guidare la crescita del tumore, cioè un eccesso di recettori del fattore di crescita epidermico (EGFR) e di recettori di morte 4 e 5 (DR4/5), gli scienziati sono riusciti ad ingegnerizzare geneticamente una molecola bifunzionale, chiamata EvDRL, per colpire simultaneamente EGFR e DR4/5 e indurre in questo modo l’apoptosi ovvero la morte delle cellule tumorali. 

Modelli di metastasi cerebrali assimilabili all’uomo

Tre sono i modelli di topo colpiti da metastasi cerebrale con la stessa gamma e complessità della malattia umana: il primo imita la metastasi che assume la forma di un tumore solido cerebrale |macro-metastasi|, il secondo imita un fenomeno metastatico più diffuso |micro-metastasi di nicchia perivascolare|, mentre il terzo imita le metastasi localizzate nella parte posteriore del cervello |metastasi leptomeningee|. Grazie a tali modelli i neuroncologi possono determinare con maggiore precisione l’efficacia della molecola terapeutica EvDRL.

Per introdurre l’EvDRL nel cervello dei modelli murini di metastasi, i ricercatori hanno sviluppato una piattaforma di consegna basata sulle cellule staminali, che hanno il vantaggio di poter attraversare incolumi la barriera emato-encefalica e raggiungere il bersaglio tumorale nel cervello. Le terapie con cellule staminali allogeniche, che utilizzano campioni di tessuto di donatori per creare grandi lotti di cellule, sono in grado di produrre cellule staminali in modo efficiente per poter essere successivamente utilizzate, per esempio, nella somministrazione di terapie oncologiche, ma non solo. 

Data l’urgenza e l’ampiezza del problema, i ricercatori americani si sono così proposti di lavorare alacremente non solo allo sviluppo del nuovo approccio terapeutico, ma anche di massimizzare le probabilità che questa ricerca di base abbia una ricaduta clinica. C’est à dire, a vantaggio dei pazienti e non solo dei poveri topi. 

Giorgio Cavazzini

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