Un workshop dedicato alla figura del Mito nella poetica di Bob Dylan. Dalla Francia, Université Aix-Marseille, ma con tanta passione italiana dentro visto che l’evento porta la firma dei professori Pierluigi Lanfranchi e Claudio Milanesi (oltre a quella del collega inglese Matthew Graves).

Bob Dylan and Myth il titolo che prevede una due giorni di discussioni online (24 e 25 marzo) e un contest finale di riproposizione di alcune cover del Bardo di Duluth. Alcune delle quali davvero di pregevole fattura in un panel generale più che godibile.

Da Lanfranchi, professore associato di letteratura greca classica, le ragioni della nascita di un convegno testimonia una volta di più la grandezza dell’artista celebrato. E l’intelligenza di chi lo ha voluto.   

Com’è nata l’idea di organizzare un convegno su Bob Dylan?

L’idea è nata da una conversazione tra me e il mio collega italianista Claudio Milanesi. Pur insegnando da anni nella stessa università, non avevamo avuto occasione di conoscerci, finché nel 2019 ci siamo ritrovati entrambi a un convegno a Vilnius in Lituania. E lì, durante una pausa, davanti a una birra, abbiamo scoperto di essere appassionati di Dylan e ci siamo detti: perché non organizziamo qualcosa insieme? A quel punto abbiamo coinvolto un collega anglista, Matthew Graves, anche lui dylaniano e abbiamo cominciato a pensare a un tema che permettesse di affrontare l’opera di Dylan da più punti di vista, da più ambiti disciplinari.

Perché il tema del Mito?

Perché il mito è onnipresente nei testi di Dylan ed è uno dei carburanti che alimentano la sua macchina creativa. Da quella biblica a quella greca, da quella del blues a quella celtica, dalla quella dei nativi americani a quella dei romanzi cavallereschi medievali, Dylan ha attinto a moltissime tradizioni mitologiche. Ci è sembrato interessante indagare l’uso che Dylan ne ha fatto e il significato che gli ha attribuito nelle diverse fasi della sua carriera. E poi, come dicevo prima, il tema del mito si presta ad essere esplorato da più punti di vista, da quello degli studi letterari, degli studi culturali, della storia delle religioni.

Che rapporto ha lei con Dylan? 

Un rapporto d’amore.

Ha incontrato delle resistenze nell’ateneo dove insegna nell’accettare una tale proposta o anche nella Francia degli accademici oggi ci si accosta a questo artista con il rispetto che si deve a un classico?

Non ho incontrato alcuna resistenza. Anzi, la proposta è stata accolta con entusiasmo da molti miei colleghi, persino dai classicisti che passano generalmente per conservatori. Un collega appassionato di Dylan, che avevo invitato a presentare una relazione al convegno, ha declinato l’invito dicendo che preferiva non trasformare una passione in un oggetto di studio, che voleva tenere distinti l’ambito professionale del ricercatore da quello dell’ascoltatore dilettante (nel senso nobile di chi fa una cosa per diletto). È una posizione legittima. Io mi illudo di poter conciliare le due cose.

Un appuntamento, per ovvie ragioni, online. Come fare per partecipare al workshop?

Il workshop si sarebbe dovuto svolgere l’anno scorso dal vivo. Abbiamo ripiegato sulla forma online per non rinunciare al nostro progetto. Tutti possono partecipare. Bisogna solo iscriversi a questo link: https://univ-amu-fr.zoom.us/meeting/register/tJIqc-isqDIqHNObj1wMACMSR0x5So-Hdeuo

Qui si può trovare il programma, che tra l’altro è illustrato da uno splendido ritratto di Dylan eseguito per l’occasione dal pittore Bruno Zoppetti:

https://caer.univ-amu.fr/2021/03/11/bob-dylan-et-les-mythes-24-25-mars-en-ligne/

Il suo evento si arricchisce di un contest per eleggere la migliore cover dylaniana. Qual è stata la risposta dei partecipanti?

Il contest è parte integrante del convegno. L’abbiamo concepito come una sorta di interpretazione pratica, di “esegesi in atto” dell’opera di Dylan. Le canzoni di Dylan non sono testi poetici autonomi, ma devono essere sempre analizzati nella loro dimensione orale, musicale e performativa. Le cover sono forse il solo modo davvero autentico di “interpretare” Dylan. E poi si sa, spiegare il mito significa in qualche modo ucciderlo. Perché restino vivi i miti non si spiegano, si possono solo rinarrare sempre di nuovo. I musicisti che hanno partecipato al contest hanno colto questo spirito.

Cosa ha tratto dall’ascolto dei brani dylaniani? È ancora vero che “nobody sings Dylan like Dylan?” 

Tra le cover degli studenti e dei docenti ce ne sono, naturalmente, di più e di meno riuscite. Proprio perché nessuno canta Dylan come Dylan, io preferisco quelle che non cercano di fargli il verso. La risposta degli studenti e dei docenti è stata molto positiva. Inizialmente, prima della pandemia, avevamo previsto un concerto dal vivo e all’aperto davanti all’edificio dell’università. Anche la soluzione dei video è un ripiego. Però mi pare che queste limitazioni dovute alla pandemia abbiano stimolato la creatività dei musicisti, la loro immaginazione e la loro energia. Confesso che mi sono commosso ascoltando le cover registrate dagli studenti nel chiuso delle loro stanze in questo momento non facile. 

Corrado Ori Tanzi

Bob Dylan and Myth
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