Pensare all’universo del giallo e arrivare a Luca Crovi è quasi un’operazione matematica per l’appassionato lettore. Saggista, curatore editoriale, romanziere, critico letterario, sceneggiatore, animatore di incontri pubblici, speaker radiofonico (nonché figlio del grande Raffaele), Crovi è l’autorità che ci vuole per discorrere su un fenomeno sempre più presente nei media televisivi: la trasposizione di romanzi gialli in fiction. 

Una storia incominciata da noi sin dagli albori della Rai monopolista e oggi, con il moltiplicarsi di canali e piattaforme digitali, panem et circenses preferiti del grande pubblico e fonte di ottimi guadagni per i titolari delle produzioni. 

Lei dedica la sua vita alla letteratura noir, gialla o thriller che dir si voglia. Da studioso più che da lettore: che posizione ha sulla moda che non passa di moda e cioè la riproposizione sugli schermi di gialli di successo?

Sono sempre curioso di vedere l’adattamento cinematografico e televisivo dei romanzi che ho amato e ogni volta faccio il paragone con le emozioni che mi avevano dato i libri rispetto alle loro successive versioni di celluloide. Delle volte sorrido, delle volte piango, delle volte mi arrabbio, sicuramente non rimango mai indifferente. 

Qual è l’ostacolo maggiore da superare nella riscrittura per la televisione di un romanzo noir?

Bisogna mantenere lo spirito del carattere dei personaggi originari, trovare le facce degli interpreti giusti e delle location precise che ricalchino la forza di quelle raccontate a parole nei romanzi. I volti, i luoghi e la musica arricchiscono di suggestioni un adattamento. E i dialoghi sono fondamentali per far recitare i personaggi. Non sempre quello che funziona nella parola scritta funziona letto ad alta voce o reinterpretato a teatro o in televisione, ogni media ha il suo linguaggio che va rispettato. 

Siamo d’accordo che fiction e romanzo occupino due spazi autonomi. Ma fino a quanto ci si può spingere nel modificare i tratti salienti di un testo letterario e restare in una posizione etica accettabile? 

Dipende dalla sensibilità dell’autore che adatta i testi. Deve sapere rispettare il mood dell’opera originaria ma deve anche reinterpretarla in modo autonomo. Pensate alla saga del Signore degli Anelli reinventata da Peter Jackson a L.A. Confidential rimontato da Brian Helgeland per la regia di Curtis Hanson. Pensate al lavoro effettuato da Frank Darabont e Rob Reiner sui romanzi di Stephen King, ecco in tutti questi casi fedeltà e reinvenzione sono andati perfettamente a braccetto. Oppure pensate a quanto si possa essere infedeli al modello originario come Stanley Kubrick con Shining e quanto il risultato possa essere alla fine pazzesco. King non glielo ha mai perdonato sostenendo che quel film era “una macchina fredda” ma quanti spettatori pensano ancora oggi che quello sia uno dei film più terrorizzanti che hanno visto nella loro vita? Lo scrittore del Maine ha avuto la possibilità di passare fra le mani anche di registi come Carpenter, Cronenberg, De Palma, Romero e ogni volta il risultato è stato una sorpresa.

Glielo chiedo pensando soprattutto alla produzione firmata da Sky Cinema di Petra, tratto dalle prime investigazioni dell’eroina di Alicia Giménez-Bartlett. Cambio di ambientazione da Barcellona a Genova, cambio di cognome della protagonista, dell’intera anagrafe del suo vice, insomma davvero un’altra cosa rispetto ai romanzi. 

In questo caso credo che il non aver rispettato il modello originario abbia comportato non solo uno straniamento nella visione ma anche un allontanamento dei lettori. È un peccato. 

Paola Cortellesi nei panni dell’ispettrice Petra Delicado. Esame superato?

Io personalmente ho sempre visto Petra molto simile alla sua creatrice Alicia Giménez-Bartlett. Credo che Cortellesi ce l’abbia messa tutta, ci abbia provato con coraggio. Ma non era un personaggio facile. Anche Castellitto non è riuscito a dare pieno corpo a Maigret schiacciato da modelli precedenti come Cervi e Gabin così come Pannofino non aveva la stessa stazza per Nero Wolfe di Tino Buazzelli. È sempre molto complicato azzeccare l’interpretazione anche quando sei un grande attore perché il modello letterario è sempre arrivato prima di te. Sean Connery si divertì molto nei panni di Guglielmo da Baskerville ne Il Nome della Rosa e anche i lettori del romanzo lo trovarono credibile, anche perché Umberto Eco aveva dedicato un acuto saggio proprio a quel James Bond che l’attore scozzese aveva interpretato per anni. 

In quale fiction ha ritrovato maggiormente il libro da cui è stata tratta?

Ce ne sono tante, dal Petrosino con Celi al Montalbano di Camilleri, dal Commissario De Vincenzi con Paolo Stoppa al Philo Vance con Giorgio Albertazzi. Fra i personaggi che meglio si sono adattati alle fiction ci sono Poirot, Miss Marple, Sherlock Holmes (il più rappresentato e quello che meglio si è adattato al passare dei tempi), Maigret.

Al di là delle investigazioni trovo riuscita l’operazione della Rai quando si tratta di ricostruire una certa ambientazione di età fascista. Penso alle storie che coinvolgono i commissari De Luca e Ricciardi. Fu un periodo certo terribile il Ventennio eppure la ricostruzione della vita di tutti i giorni degli italiani la trovo parte integrante del successo delle due serie. Cosa ne pensa? 

La ricostruzione politica, sociale e letteraria di quei periodi è stata fondamentale per quelle fiction e ha permesso un lavoro di ricerca molto interessante. 

I due più grandi successi contemporanei, parlo di risposta del pubblico, sono senza ombra di dubbio Montalbano e Rocco Schiavone. Anche le repliche fanno ascolti altissimi. Un suo giudizio s’impone. 

Sono un superfan di entrambe e lo sono anche dei romanzi di entrambi i cicli. Ho intervistato spesso Camilleri e Manzini e so che uno è stato il maestro d’accademia dell’altro. Entrambi non solo hanno costruito dei cicli narrativi importanti ma conoscendo il mondo del teatro sono riusciti a ottenere per i loro personaggi i giusti interpreti, le giuste location e le giuste regie. Il piacere e il divertimento delle loro opere ma anche la loro drammaticità è passata anche felicemente in televisione. 

E quale l’attore o l’attrice che, meglio di ogni altro, si è calato nei panni del personaggio letterario? 

Ce ne sono tanti, da Gabin a Cervi, da Albertazzi a Buazzelli, da Zingaretti a Giallini e poi Margareth Ruthford, potrei coprire un’enciclopedia di nomi.

Di un’operazione di autentica riscrittura di Sherlock Holmes come quella fatta da Steven Moffatt e Mark Gatiss cosa pensa

Geniale. Non mi stanco mai di rivedere le stagioni che ha realizzato la BBC. 

Una novità fu, nel biennio ’17-’18, la fiction tratta dai primi tre libri della saga di Hap & Leonard di Joe R. Lansdale e prodotta da Amazon. Mi colpisce certo la decisione di cancellarla dopo ottimi ascolti e un’altrettanto ottima riuscita, ma soprattutto il fatto che, come era abitudine della “vetero televisione”, la serie dedicò numerose puntate, ben sei, per coprire ciascuno dei tre titoli. Come dire, se un romanzo chiede più tempo è possibile ancora concederglielo. 

Se questa serie fosse approdata su Netflix ora forse avrebbe fatto altri risultati. E probabilmente gli adattatori grazie a una piattaforma del genere avrebbero potuto anche essere più fedeli allo spirito dissacrante delle storie originarie. E avrebbero avuto anche un budget per girare più alto. Il mio amico Joe Lansdale è però molto contento del risultato della serie e si era divertito a lanciarla pubblicamente assieme al suo amico George R. R. Martin, un altro autore gratificato da una serie superspettacolare che ha cambiato il modo di pensare e realizzare le fiction.

Bosch invece continua la sua avventura. Io trovo l’attore che lo impersonifica, Titus Welliver, del tutto perfetto a entrare nei panni del detective della LAPD. Recitazione distaccata, gestualità precaria, sguardo perennemente a trequarti per evidenziare la sua distanza da un qualsiasi profilo eroico del poliziotto. Michael Connelly lo aveva previsto così?

Direi che è una serie molto fedele al modello originario. 

A proposito di Connelly. Lo scrittore figura nei credit di Amazon non solo come ideatore ma anche quale soggettista. La presenza del papà letterario di un personaggio è di per sé garanzia di tutela della qualità? 

Spesso sì perché l’autore chiede garanzie sulla produzione. 

Capitolo Maigret: delle tante riduzioni quale è stata quella che più ha fatto uscire il personaggio così come lo pensò Simenon

Devo dire che mi hanno convinto in tanti messi alla prova sul personaggio creato da Simenon: Cervi, Gabin, Cremer, persino Rowan Atkinson.

Capitolo Poirot: È stato davvero David Suchet il più grande volto per l’investigatore belga? 

Io sono un fan della versione con Peter Ustinov anche se quella con Suchet mi è piaciuta e ho persino apprezzato quella con Kenneth Brannagh, dotato di un paio di spropositati moustache.

Sappiamo bene da che parte stava Agatha Christie tra Poirot e Miss Marple. Ma la BBC, che produsse entrambi i personaggi, con chi tra i due diede il meglio? 

Centrò l’obiettivo con entrambi. 

Torniamo alla domanda iniziale: perché sin dagli albori della televisione in Italia se si vuole andare sul sicuro ci si continua a rivolgere al mondo del giallo? 

Perché il pubblico ama restare incollato alla seggiola con il fiato sospeso, e per farlo sia in tv sia in libreria la formula del giallo è un meccanismo che funziona alla grande e che ha saputo adattarsi ai tempi. 

Corrado Ori Tanzi

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