C’è una generazione che sta crescendo e che dovremmo tenere d’occhio: è la generazione degli studiosi di popular music usciti dai corsi universitari, che sta soppiantando e rivoluzionando il vecchio approccio “casereccio” che ha imperversato i media italiani. Jacopo Tomatis è uno di questi. Musicista nel gruppo “Lastanzadigreta”, professore a contratto di Musica Popolare presso l’Università degli Studi di Torino, ricercatore, collaboratore per le sezioni pop, jazz e world music della rivista “Il giornale della musica” e per altre riviste e siti web. Dopo aver pubblicato nel 2019 per “Il Saggiatore” un indispensabile libro dal titolo Storia culturale della canzone italiana, torna nelle librerie curando il volume E ricomincia il canto, raccolta di interviste a Lucio Dalla (realizzate dal 1966 al 2011 da personaggi di vario tipo, come Serena Dandini, Giorgio Bocca, Gianni Morandi, Monica Vitti, Vincenzo Mollica) in cui si scoprono le mille sfaccettature del cantautore bolognese: la sua vita, le sue passioni e i tanti incontri e collaborazioni che ha avuto.
Abbiamo chiesto a Tomatis di raccontarci questo progetto.
Perché un libro dove si raccolgono molte interviste a Lucio Dalla?
L’idea del libro mi è stata proposta dal Saggiatore. Mi è sembrato un buon modo per raccontare un personaggio anomalo come Dalla, o meglio: per lasciare che lui stesso si raccontasse attraverso le interviste. Ne esce un’immagine originale… non è uno di quei libri in cui l’intervistatore si concede con parsimonia lasciandosi andare a considerazioni ponderate con pochi interlocutori scelti. Dalla parla con tutti, di tutto, si contraddice e racconta un sacco di balle. In questo senso, credo, il libro lo racconta meglio di qualunque biografia.
Qui hai riunito tutto quello che hai trovato, oppure hai scartato parecchio materiale?
Le interviste scelte sono una sessantina, in parte già edite su rivista, in parte registrate per la radio o per la tv… E ne abbiamo lasciate fuori moltissime, per ragioni di diritti o perché duplicavano in parte dei contenuti già presenti. Dalla non si è mai risparmiato, e ha sempre fatto una massiccia promozione di tutti i suoi lavori.
Per la stesura hai consultato parecchie riviste, giornali, trasmissioni radio e televisive, che impressione hai avuto nell’approccio che i giornalisti hanno avuto con Dalla e viceversa? È variato nel tempo?
È variato nel tempo, ed è variato pure Dalla. Per certi versi ci sono logiche “storiche”, di spirito del tempo, che sono ben riconoscibili. Per esempio, le interviste degli anni Settanta vertono sempre, inevitabilmente, sulla dimensione politica e Dalla si presta, non si tira indietro, si dichiara comunista eccetera. Dagli anni del riflusso – che sono anche gli anni in cui Dalla raggiunge un successo di massa enorme – il tono cambia. Dalla comincia a parlare di fede, per esempio, e a dichiararsi credente (oltre che, da un certo momento in poi, devoto di Padre Pio). Dal successo poi gli intervistatori sempre di più tendono a lasciargli campo libero, e lui si esibisce spesso in vere improvvisazioni a tema libero, toccando ogni argomento – dall’attualità ai suoi ascolti, dal cinema alla politica agli aneddoti bizzarri. Negli ultimi anni invece prevale talvolta il tono del “vecchio saggio”, che Dalla comunque interpreta con originalità rispetto a molti suoi coetanei.
Il libro copre quasi interamente, dal 1966 al 2011, l’intera carriera di Dalla, leggendo i testi delle interviste si capisce la versatilità dell’artista e dell’uomo. Ma in definitiva: quanti Dalla ci sono?
E ce ne sono molti… a livello di carriera c’è il Dalla beat degli esordi, surreale e freak, il Dalla “cantautore” di 4/3/1943 e il Dalla progressivo dei dischi con Roversi… e poi il Dalla popstar degli anni a cavallo del decennio, e quello superpop di Attenti al lupo… ma la mia impressione è anche che la forza di Dalla, la sua unicità rispetto a molti cantautori, sia la sua capacità di aver parlato nel corso della sua carriera a tipologie di persone molto diverse. Come se ognuno, alla fin fine, avesse il suo personale Dalla, che per lei o per lui significa molto perché si lega a momenti intimi speciali. Dalla è un musicista pop, e questo sa fare il migliore pop: entrare nelle nostre vite per restarci.
Cosa è stato Dalla per te e come è cambiata la percezione che hai avuto nel tempo?
Lavorare su un musicista per molto tempo – un paio d’anni, nel caso di questo libro – te lo fa spesso rivalutare in certe parti della sua carriera. Il “mio” Dalla, per esempio, è sempre stato il Dalla roversiano, quello di dischi come Anidride solforosa o Il giorno aveva cinque teste… mentre ho sempre trovato meno appassionante (a differenza della gran parte del pubblico) quello di dischi come Dalla o Lucio Dalla. Lavorandoci, devo dire che ho sviluppato l’idea che il Dalla dei primi anni sia di un’originalità incredibile, e che sia stato poco capito, poco celebrato, perché in qualche modo contrasta con il Dalla più famoso, post-4/3/1943. Ma a riascoltare cose come Quand’ero soldato o Il cielo si rimane rapiti dall’interpretazione, unica per quegli anni e incredibilmente avanti. E poi ho rivalutato il Dalla anni ottanta, quello più “elettronico” di dischi come Viaggi organizzati, che a posteriori è invecchiato benissimo e ha anticipato molti suoni che sono poi diventati molto alla moda nel recupero vintage di quel decennio (un po’ come è successo con il Battisti del periodo Panella).
Dopo aver lavorato sulle interviste fatte da altri, cosa avresti chiesto a Dalla che non hai trovato in esse?
Niente, perché mi sono convinto che in queste interviste – o forse nelle interviste in generale – è futile pensare di trovare delle verità. Questa raccolta si legge più come una immensa autonarrazione di Dalla fatta da Dalla, comprensiva di errori, esagerazioni e vere e proprie balle raccontate a beneficio dell’ascoltatore del momento. Non si può sperare di trovare la “verità sull’uomo” – ammesso che sia interessante o possibile saperla. Si trova il Dalla narratore, però. Il Dalla millantatore, il Dalla funambolico improvvisatore, anche nel racconto, che costruisce la sua vita e scolpisce il suo personaggio. Che non è “il vero Dalla” – ammesso che ne esista uno – ma che è il Dalla che si è dato a noi ascoltatori e ascoltatrici.
A quasi 10 anni dalla sua morte, quanto è ancora attuale la sua produzione? E da studioso e docente di popular music, quanto spazio potrà avere all’interno dei percorsi di formazione universitari?
La produzione di Dalla è invecchiata, in generale, molto bene rispetto a quella di altri musicisti della sua generazione. Forse perché Dalla, a differenza di molti cantautori, non ha mai avuto paura di farsi “pop”, anzi… ha sempre inseguito con coerenza il gusto dell’epoca anche nel sound, ha sempre teso una mano al pubblico senza rifugiarsi in torri più o meno d’avorio o immaginandosi come poeta. Si è piuttosto visto sempre – e questo emerge benissimo dalle interviste – come musicista, come musicista pop, e come narratore di persone, degli altri più che di se stesso. Basta pensare ad alcune delle sue canzoni più famose, come Anna e Marco, o Futura. Per chi studia oggi popular music, io credo sia un personaggio ancora interessante soprattutto perché permette di uscire un po’ dal modello del cantautore-poeta che ancora tira molto e continua ad affascinare molti studenti… Ma che forse ha un po’ fatto il suo tempo. A differenza di altre discipline cugine, lo studio della popular music deve saper prescindere, alla base, da un riconoscimento del “valore estetico” e piuttosto lavorare per problematizzare come quel valore viene costruito. Dalla ha fatto cose come L’auto targata TO con Roberto Roversi, ma ha anche ballato al Festivalbar in parrucchino biondo e bermuda con Iskra Menarini. Se non è un caso di studio interessante lui per chi si occupa di pop…
Riccardo Santangelo
Fotografie : ©Renzo Chiesa

















