Questo libro nasce da una rinuncia. La realizzazione di un romanzo che avesse Dante Alighieri quale figura centrale. Una storia che, hanno confessato i due autori, non risultasse noiosa e kitsch come quelle finora pubblicate sul padre della lingua italiana.
Il pericolo era quello di cadere nel medesimo risultato. Che fare quindi? La risposta: arrivare a Dante attraverso William Shakespeare e far agire i due giganti della letteratura (e del pensiero) all’interno di una finzione narrativa. Un azzardo ancora più alto, ma una sfida ben più adrenalinica. La cui chiusa oggi è nel romanzo Dante di Shakespeare. Amor ch’a nullo amato (Solferino, 544 pagg., 18 euro), a firma di Rita Monaldi e Francesco Sorti, compagni di vita e di penna, che con questo titolo danno il via a una trilogia che promettono di completare nel giro di un paio di anni. Tre volumi come tre sono i tomi della Divina Commedia.
Il manoscritto perduto del Bardo
I due autori hanno messo le mani su un In Folio inedito in grado di far deflagare l’intera storia della letteratura mondiale. Per l’uomo che racconta e l’uomo che è raccontato. Un dramma teatrale composto da Shakespeare attorno alla vita di Dante, almeno fino alla stesura dell’Inferno.
Una falsificazione naturalmente. Piano su cui la coppia ci ha già regalato quel magnifico Morte Come Me cucito attorno alla figura di Curzio Malaparte. Questo nuovo gioco è un vero matrimonio letterario che ci perviene più autentico di quanto non sia la fonte.
Un manoscritto perduto e ritrovato sulla cui prima parte possiamo mettere occhi e testa. Scorre l’infanzia del poeta, la sua giovinezza, la malattia, la morte della madre, l’incontro con Beatrice, le rovine politiche intersecate a quelle familiari, l’amicizia con Guido Cavalcanti, la scoperta della filosofia all’ateneo di Bologna. E l’intreccio con la Commedia ovviamente. Le cui visioni infernali sono favorite dalle allucinazioni con cui l’epilessia altera il pensiero di Dante.
Visioni e allucinazioni
Una più che originale operazione culturale che ha richiesto una lunga immersione tanto nei testi del Bardo quanto nel maremagno degli studi sul Sommo Poeta. Cercando di non uscire fuori strada soprattutto per quel che riguarda la malattia di Dante. Che l’Alighieri fosse dotato di una capacità visionaria di natura mistica legata all’epilessia è fatto acquisito come certo da tutti i più grandi ricercatori del poeta.
Monaldi & Sorti hanno ipotizzato che si trattasse di epilessia fotosensibile, una varietà che nasce da una detonazione visiva ripetitiva, spago che ha permesso loro di accumunare Dante a Shakespeare, i cui drammi, dall’Amleto a Re Lear, da Macbeth a Giulio Cesare, sono caratterizzati proprio dalle allucinazioni dei protagonisti. Così, il profilo storico non solo ne esce attendibile, ma acqua santa per sancire l’unione delle profetiche figure.
Geni popolari
Un romanzo colto, dunque. Forse anche di più. Nulla che possa essere apprezzato solo da cattedratici o studiosi. Il teatro di Shakespeare nasceva e restava coi piedi ben fermi sul terreno popolare. E così la Commedia, come ha sottolineato Paolo Ventura, italianista alla University of Birmingham, affonda le radici nel teatro popolare del Medioevo. Piuttosto, c’è da evidenziare la bravura espressa da Monaldi & Sorti nell’aver saputo fondere gli stili dei due geni in una scrittura credibile.
Loro stessi sono intervenuti sull’argomento evidenziando il loro compito di «amalgamare la meravigliosa libertà espressiva di Shakespeare con i versi densissimi, spigolosi, scultorei di Dante. Quando Dante parla d’amore, lo deve fare con le parole non solo di Paolo e Francesca, ma anche di Giulietta e Romeo. Quando parla di guerra, di Enrico V».
Partita vinta. Senza ombra di smentite.
Corrado Ori Tanzi













