Le rivoluzioni musicali si sono susseguite nella storia a varie ondate, che più o meno hanno sconvolto l’esistente, trasformando quello che fino ad allora c’era. Gregoriano, polifonia, barocco, classicismo, romanticismo, contemporanea, atonale; per non parlare dell’opera. A tutto questo si innestano in un ambito meno “colto” i trovatori, le canzoni di origine popolare, blues, jazz, soul, rock, pop, elettronica, e le mille contaminazioni e varianti che ognuna di essa porta con sé. Ma stiamo attenti, qui si cade ancora nello stesso errore: è vero che questa linea cronologica può rappresentare molto della produzione musicale presente nella nostra storia, ma è una visione occidentale, per cui di parte. E la musica non ha confini da sempre, se non quella, prima, dello spostamento degli uomini, e dopo anche della diffusione dell’industria musicale. Quindi molta della musica che ascoltiamo (anche il rap e la trap) sono parenti prossimi della musica africana, e dalla seconda metà degli anni ’60 (ma in maniera predominante dall’inizio degli anni ’80) dell’afrobeat.

L’afrobeat e i suoi inventori

L’afrobeat è un genere di musica pop, nata in Africa occidentale, che mischia elementi di musica tradizionale yoruba, jazz, funk e altri stili ancora; l’esponente più famoso è stato il polistrumentista nigeriano Fela Kuti (soprannominato The Black President). A fianco di Kuti (sassofonista ma anche pluristrumentista) nella band Africa ‘70, alla batteria e alle percussioni (elementi fondamentali del genere) c’era il connazionale Tony Allen, a cui si deve riconoscere la stessa importanza del “Presidente”. Allen ha collaborato con Kuti per una ventina d’anni, fino a quando non decise di trasferirsi in Europa. Le fortune furono alterne, ma trovò modo di collaborare con artisti come Oumou Sangare, Hugh Masekela, Manu Dibango, Paul Simonon, Air, Charlotte Gainsbourg e Damon Albarn, creando un linguaggio musicale che risultava al contempo flessibile e piacevole all’orecchio, ma anche complesso e difficile da interpretare, essendo una miscela tra diversi codici sonori: jazz, funk, elettronica, hip hop, rap, e ovviamente la musica africana. 

Non c’è fine

“There Is No End” è il suo ultimo album, in uscita il 30 aprile (per la Blue Note / Decca France / Universal), a un anno dalla sua morte avvenuta a Parigi all’età di 79 anni. Questo disco è stato prodotto dallo stesso batterista, con l’aiuto di Vincent Taeger e Vincent Taurelle. Il batterista nigeriano aveva iniziato a lavorare al disco nel 2019, componendo tutti i “beats” presenti nell’album e creando un percorso creativo ben definito, che Taeger ha portato a compimento. Il desiderio di Allen era quello di collaborare con artisti più giovani, in particolare con la nuova generazione di rapper, e di dare loro una voce in un momento di tumulto globale. Al disco hanno partecipato molti artisti del mondo del rap, come la zambiana (naturalizzata australiana) Sampa The Great, la keniota Nah Eeto, la britannica Lava La Rue, e gli statunitensi Lord Jah-Monte Ogbon, Jeremiah Jae e Danny Brown. Tra i brani da segnalare possiamo citare Rich Black, Très Magnifique, Coonta Kinte, My Own e Cosmosis. In questa ultima canzone vede la collaborazione del rapper anglo-nigeriano Skepta, lo scrittore e poeta nigeriano Ben Okri e Damon Albarn (musicista, produttore e fondatore delle band Blur e Gorillaz). 

La missione e l’eredità

Come ben si evince dalle scelte stilistiche, musicali e di scrittura, la missione di Tony Allen era quella di avvicinarsi alle nuove tendenze musicali: “Voglio prendermi cura dei giovani; hanno messaggi e voglio avvicinarli al mio “beat”. L’idea è di trasmettere alle giovani generazioni, di mescolare universi diversi – dal mondo hip hop all’afrobeat ”. La forza espressiva del disco coglie a pieno questo scopo, che poi è stata la missione che ha condizionato tutta la sua vita, andando oltre alla creazione di un nuovo linguaggio musicale, ritenendo più importante quello di trasmetterlo alle generazioni successive. A suggello dell’importanza della lezione del musicista nigeriano, possiamo prendere le parole che Brian Eno gli ha dedicato: “Tony Allen è forse il più grande batterista che sia mai vissuto”.

Riccardo Santangelo

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There Is No End
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