Anna Bardazzi autrice di ” La felicità non va interrotta” edito da Salani .
Per capire che, Anna Bardazzi, è una persona speciale, basta osservare il sorriso contagioso e lo sguardo che, si illumina, quando parla della Bielorussia. Anna è nata a Prato e, dopo aver vissuto dieci anni a Parigi , dove sono nate le sue due figlie, nel 2020 si è trasferita a Milano. La sua “storia d’amore” con la Bielorussia ha inizio nel 1995.
“Progetto Chernobyl”
Anno in cui la sua famiglia ha ospitato per la prima volta una bambina nell’ambito del “Progetto Chernobyl”. Nel corso degli anni ha ospitato molti altri bambini innamorandosi così sempre di più di quella realtà Tanto che a 20 anni, proprio come la protagonista del suo libro, che non a caso si chiama Anna come lei, decide di compiere un viaggio in quel Paese , approfondendone la conoscenza fino al punto di laurearsi in Scienze politiche con una tesi su Lukashenko. Questo l’ha portata ad insegnare a Minsk, alla facoltà di Relazioni internazionali. Pur avendo viaggiato molto nel corso della sua vita, oggi Anna Bardazzi, si considera quasi bielorussa, e ha deciso di raccontare le sue esperienze e il suo amore per quel Paese nel suo primo romanzo: “ La felicità non va interrotta “ edito da Salani.
“ La felicità non va interrotta “
Nel romanzo si racconta la storia di Lena e Anna. Quando si incontrano per la prima volta, Lena è appena scesa da un aereo ed è una dei tantissimi bambini bielorussi mandati in Italia a disintossicarsi dalle radiazioni di Chernobyl; Anna la sta aspettando con i suoi genitori, pronti a ospitarla per un mese, e ha un po’ paura che questa bambina biondissima sia venuta a rubarle l’amore della sua famiglia o, peggio, i suoi giochi. Ma a entrambe basta un niente per superare la diffidenza e scoprirsi legate da un affetto indissolubile che le renderà “sorelle per sempre”, anche quando saranno lontane. Vent’anni dopo sono di nuovo in un aeroporto, stavolta a Minsk. Anna ha studiato Scienze politiche e sacrificato molto di sé per inseguire un sogno: combattere la dittatura che opprime laBielorussia e salvare l’amica.
Anche se Lena è cresciuta tra mille difficoltà – la madre scomparsa, un fratellino disabile, una figlia da crescere da sola –il ruolo della vittima, dell’essere indifeso, proprio non fa per lei. Entrambe, a modo loro, sono due guerriere. Quando si riabbracciano, un’occhiata e tre parole pronunciate a fior di labbra sono sufficienti per capire che tutto sta per cambiare radicalmente. E che forse, prima di pensare agli altri, dovranno imparare a prendersi cura di loro stesse.
Le similitudini tra Anna Bardazzi e la protagonista
Come si diceva l’autrice e la protagonista del libro hanno in comune non solo il nome, ma anche il grande amore per la Bielorussia, nato più o meno allo stesso modo.
Anna però si è recata in quel Paese per il desiderio di conoscerlo e, scoprendolo, ha fatto promessa a se stessa, che avrebberaccontato a qualcuno questa parte di mondo.
Di viaggi così ne fatti due come è capitato a tante persone che hanno avuto a che fare con i progetti di accoglienza dei minori provenienti dalle aree contaminate dal disastro di Chernobyl. Poi, nell’estate del 2005 , decisero di ospitare un’accompagnatrice anziché un bambino, e così conobbe Liuda, la persona che le avrebbe cambiato la vita. La stessa persona che, nel romanzo, tiene legate Anna e Lena, l’unico personaggio della narrazione che esiste realmente.
Lei insieme a tutte le persone incontrate nel tempo, bielorussi per nascita o per adozione, hanno fatto conoscere all’autrice un paese ignorato dai più.
L’ esperienza di Anna Bardazzi
Anna Bardazzi dal canto suo si divertiva a sfoggiare una conoscenza che andava al di là delle poche parole di base in bielorusso. Frutto anni passati sui libri a studiare il Paese e Lukashenko per la sua laurea in Scienze Politiche.
E’ così che ha conosciuto le campagne, i boschi, ma anche la capitale, Minsk, di cui ha scoperto ogni segreto nei mesi in cui ha vissuto lì lavorando come lettrice all’Università statale. Trascorrendo le giornate, con la gente del posto, a cucire bandiere bianco-rosso-bianche, quando ancora in pochi ne conoscevano il significato. Una di queste, realizzata in occasione di una manifestazione del 2006, svetta oggi nell’appartamento milanese in cui Anna vive con il marito e le figlie e, le fa da portafortuna, quando esce a sostenere i bielorussi che vivono in Italia.
La nascita della storia raccontata nel libro
Certo la storia di Anna e Lena è un romanzo, non è la storia di Anna Bardazzi eppure la scrittrice ammette che, quando ha immaginato la storia, durante una lunga notte in treno attraversando la Siberia e, quando poi l’ha materialmente scritta, vi ha ritrovato i volti e le parole delle persone che hanno fatto parte della sua storia personale. Che hanno saputo trasmetterle un forte sentimento di appartenenza per una terra che non è la sua patria, ma che sente così sua.
La storia di Anna e Lena è una storia di amicizia, ma soprattutto di forza: quella che l’autrice ha imparato in questi diciotto anni, tanti ne sono passati dal suo primo viaggio, dalle donne bielorusse. Tenaci, sorridenti, combattenti, dritte nella schiena e verso l’obiettivo.
Anna Bardazzi si dice fiera, e ha motivo di esserlo, di raccontare di loro in questo momento storico, quello in cui hanno preso in mano le redini del loro Paese per traghettarlo verso un futuro dignitoso. Di raccontare, al di là delle proteste, della politica, della storia moderna, l’esistenza di donne che lottano per una vita migliore.
La felicità raccontata nel libro
Lena, baba Sasha, Liuda, Nastia, Tania, ricordano che a volte, sotto la coltre di fango dei primi disgeli di marzo, si cela proprio la felicità.
Quella felicità, di cui si parla nel libro e che la scrittrice riscriverebbe mille volte: “perché rimanga impressa dentro di voi, proprio com’è rimasta dentro di me. Perché la memoria della loro resistenza sia anche la nostra e non vada persa, mai.”
Antonella Lattuada