Arriverà la fine del mondo e… E ci prenderà così come siamo. Ci saranno segni che tenteremo d’interpretare, salirà l’ansia e scenderà ogni speranza, chi non sarà in grado di mantenere una parvenza di equilibrio si farà trascinare dalla bufera prima dell’ora fatale, chi invece non sarà preda dei nervi cercherà rifugio in qualche anfratto della memoria del passato.
Ma niente scenari che riportano a La strada di Cormac McCarthy o ai tanti film dedicati all’apocalisse. Le nostre piccolezze, i pregiudizi sistemici che ci hanno guidato fino ad allora, le abitudini ci terranno compagnia fino all’ultimo.
Stanno bussando alla porta
Questo il panorama previsto da Rumaan Alam nel suo nuovo romanzo Il mondo dietro di te (La nave di Teseo, 304 pagg., 20 euro). La vacanza in un angolo di Long Island. Una villa con piscina con la cornice del bosco, perfetta per una famiglia, due adulti e due figli, una femmina e un maschio. Tutto nella norma, tutto come un periodo di riposo deve essere.
Finché una notte non si presentano alla porta i proprietari, una coppia di afroamericani che vive a Manhattan. New York è in preda a un blackout, è saltato tutto. Anzi, qualcosa più della pur grave mancanza di elettricità.
Tra thriller e distopia
Credergli o no? Nella villa salta internet, e la luce fa i capricci. Ma i pensieri sono altri. Come assicurarci che questi signori dicono la verità sulla casa? E se fossero dei serial killer? Semplici truffatori? Se fosse una coppia di bianchi saremmo più propensi a convincerci del fatto?
I disturbanti segni che la natura inizia a manifestare lavorano da collante ai presenti. Qualcosa di strano sta effettivamente capitando. E non di piacevole. Sale l’inquietudine, che la mancanza di ogni informazione amplifica. La tv non è da aiuto. Neanche un vicino a cui chiedere un moncone di notizia. Come interpretare gli inquietanti rumori che vanno e vengono? È normale che i fenicotteri abbiano dimensioni umane? E com’è che al ragazzo da un momento all’altro sono caduti cinque denti?
Prossimamente su Netflix
Il romanzo è un incastro di atmosfere e stati d’animo dentro più cornici narrative: il thriller (la costruzione del pathos), il romanzo distopico (l’ipotizzata verità sotto le tracce del cambiamento) e quello psicologico (le relazioni interpersonali), la commedia nera (gli involontari risvolti umoristici degli intrecci tra i presenti).
Un impasto che rimanda a quel timore dell’ignoto di cui Stephen King è maestro. Non conosciamo la persona che abbiamo davanti e la cosa ci agita, non abbiamo più la minima percezione del futuro al punto che neanche il presente distinguiamo, viviamo come ospiti alla porta di un mondo che ci manda segnali che non riusciamo a interpretare e forse non lo faremo mai.
Poi fa tutto la guida della scrittura dell’autore. Che ha convinto i tipi di Netflix a un poderoso esborso per l’acquisto dei diritti e l’ingaggio di star come Julia Roberts e Morgan Freeman. Un narrare senza sbavature, deciso senza diventare pirotecnico. Attento ai dettagli del mondo fisico e della psiche.
Semplice e senza fronzoli. Come probabilmente sarà l’apocalisse quando ci coglierà.
Corrado Ori Tanzi