A risentire di più dell’ondata pandemica di Covid-19 che ha travolto gli ospedali in quest’ultimo anno e mezzo sono stati i pazienti già affetti da altre patologie, come tumori, malattie cardiovascolari e disturbi psichiatrici quali depressione e altre forme di disagio mentale. Un’onda lunga che ha mancato di causare ritardi nella prevenzione, nella diagnosi, nella presa in carico e nei trattamenti registrati in questi mesi di lotta a Sars-CoV-2. Per ora, secondo l’Istat, l’Italia nel 2020 ha dovuto registrare circa 30 mila morti in più rispetto a quelli attribuiti a Covid e a quelli attesi per le altre patologie. Ma c’è chi teme sequele anche nel lungo termine, come ha confermato poco tempo fa Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici |Fnomceo|, secondo cui – ma non è l’unico esperto a sostenerlo – in futuro potrebbe verificarsi anche una riduzione dell’aspettativa di vita nonostante il nostro paese sia più longevo del mondo.
Per questo il tema scelto per la Settimana mondiale della tiroide 2021, con il patrocinio dell’Istituto superiore di sanità |ISS| è “Tiroide e pandemia da Covid” per cercare di dare risposta alle tante domande sollevate dalle persone con una malattia tiroidea in questo periodo e individuare quali patologie tiroidee possono rendere il paziente più “fragile” nei confronti della malattia da Sars-CoV2.
Da non trascurare è anche la tiroide
Con la pandemia ancora più importante è mantenere in buona salute la tiroide, spiega Luca Chiovato, presidente dell’Associazione italiana della tiroide |AIT| nonché coordinatore e responsabile scientifico della Settimana mondiale della Tiroide, a partire dal 24 fino al 30 maggio. «Una ghiandola con importanti funzioni per il nostro organismo come la regolazione del metabolismo, il controllo del ritmo cardiaco, la forza muscolare e il corretto funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico. Per converso, la malattia da Sars-CoV-2 può alterare la funzione tiroidea creando ulteriori problemi diagnostici e terapeutici». Principale obiettivo della Settimana è sensibilizzare la popolazione sui problemi associati alle malattie tiroidee e alla loro prevenzione: sono infatti oltre 6 milioni gli italiani che soffrono di un disturbo a questa ghiandola fondamentale per il buon funzionamento di tutto il corpo.
Il supporto offerto dalla telemedicina
La pandemia da Covid-19 non ha mancato di sollevare dubbi sul trattamento dei pazienti con patologia oncologica tiroidea, soprattutto nei casi di tumori più aggressivi o avanzati che richiedono farmaci di ultima generazione e, al fine di ridurre il rischio di contagio nelle strutture ospedaliere, vengono raccomandati per questi pazienti percorsi di diagnosi e cura protetti. «In particolare – precisa Franco Grimaldi, presidente dell’Associazione medici endocrinologi |AME| – i pazienti con carcinoma tiroideo avanzato e in terapia con gli inibitori delle tirosin-chinasi (TKI), se colpiti da Covid-19, devono essere considerati pazienti fragili con un maggior rischio di esiti negativi, compresa la possibilità che l’infezione possa aggravare gli effetti collaterali dei TKI. Inoltre, questi pazienti richiedono un continuo monitoraggio clinico, biochimico e strumentale, e in questo contesto la telemedicina ha permesso di evitare l’accesso del paziente negli ospedali e ridurre così il rischio di contagio, assicurando nel contempo il supporto necessario per controllare gli effetti collaterali e ottenere l’aderenza alla terapia. Ai pazienti in trattamento attivo deve essere offerta la vaccinazione SARS-CoV2, la cui somministrazione deve essere eseguita quando possibile prima dell’inizio della terapia oncologica».
La popolazione pediatrica con tireopatia
Rassicuranti sono i dati, oggi disponibili, sulla popolazione pediatrica affetta da tireopatia come ipotiroidismo congenito o acquisito e ipertiroidismo. «Non emerge infatti un maggior rischio di contrarre l’infezione da Sars-Cov2, né una prognosi peggiore in caso di infezione per questi pazienti», afferma Maria Cristina Vigone, segretario generale della Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica |SIEDP|. Ma in caso di scompenso della funzionalità tiroidea, soprattutto nell’ipertiroidismo, possono verificarsi maggiori complicanze in caso di infezioni. Per questo in tutti i centri di endocrinologia pediatrica è stato fatto un grande sforzo per garantire la continuità assistenziale con visite periodiche programmate e, nei casi in cui non sia stato possibile, attivando modalità alternative quali consulenze telefoniche, video-consulenze e servizi di telemedicina». Lo screening dell’ipotiroidismo congenito non ha, perciò, subito interruzioni o ritardi, così come la cura dei neonati affetti da questa patologia.
Nessuna scusa per la tiroidite di Hashimoto
Nelle donne molto frequente è poi la tiroidite di Hashimoto che, pur essendo di natura autoimmune, non è una malattia sistemica tale da richiedere per il suo trattamento farmaci immunosoppressori. Quindi non espone le persone colpite ad un più alto rischio di sviluppare una malattia grave da Covid-19. «Fanno eccezione a questa regola – spiega Francesco Giorgino, presidente della Società italiana di endocrinologia |SIE| i casi in cui la tiroidite di Hashimoto si associa a due malattie endocrine dal trattamento più complesso che più gravemente impegnano l’organismo: il diabete giovanile di tipo 1 insulino-dipendente e la malattia di Addison, che compromette un asse endocrino critico per la sopravvivenza in caso di malattie gravi intercorrenti come quella da Covid-19». Questi pazienti sono considerati veramente fragili e, giustamente, hanno una priorità per la vaccinazione utilizzando le formulazioni a RNA che assicurano una maggiore protezione. Lo stesso dicasi per l’associazione con altre malattie autoimmuni sistemiche come il lupus eritematoso sistemico |LES|. Quindi, salvo i casi associati a patologie autoimmuni più gravi o sistemiche, non sussiste alcun valido motivo per ritenere fragili nei confronti della malattia da Covid-19 i pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto, anche quando questi siano in terapia con tiroxina per curare il loro ipotiroidismo.
Attenzione alla sindrome del malato eutiroideo
A rivelarsi particolarmente aggressiva e letale è la pandemia nei pazienti anziani soprattutto over 80. «La polmonite da Covid-19 si associa ad un quadro di alterata risposta immunitaria che determina la liberazione massiva nel sangue di citochine infiammatorie, responsabili a loro volta di alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide con sviluppo della cosiddetta “sindrome del malato eutiroideo” o sindrome con bassa T3», avverte Fabio Monzani, rappresentante della Società italiana di gerontologia e geriatria |SIGG|. Dati preliminari di un registro nazionale elaborato sotto l’egida della SIGG documentano una prevalenza particolarmente elevata di tale sindrome superiore al 50 per cento nei pazienti anziani ricoverati, la cui comparsa – pur rappresentando una difesa dell’organismo in caso di malattie gravi – ha un valore prognostico negativo perché associata a una maggiore mortalità».
I bisogni di relazione in tempi di pandemia
Fondamentale, in questo contesto, è la qualità della relazione e comunicazione tra medico e paziente al fine di indirizzare il percorso diagnostico-terapeutico e per il buon esito della cura. «I pazienti hanno bisogni di contatto, relazione e dialogo anche nelle situazioni più compromesse – sottolinea Anna Maria Biancifiori, presidente del Comitato delle associazioni pazienti endocrini |CAPE| – e i curanti, sotto il pesante carico lavorativo imposto dalla pandemia, non sempre hanno avuto risorse e tempo per rispondere a questi bisogni. Chiaramente le cure hanno subito un rallentamento a causa della pandemia: molti interventi chirurgici sono stati rimandati, la paura del virus ha dissuaso alcuni pazienti dal recarsi in ospedale per i normali controlli e le terapie. Nel contempo, le liste di attesa si sono notevolmente allungate a causa del carico di lavoro delle strutture ospedaliere. L’attenzione a tutte le patologie, in particolare a quelle oncologiche, deve tornare al centro dell’agenda di Governo, dal momento che gli ultimi dati paventano il rischio che nei prossimi anni la mortalità dei pazienti con tumore aumenti del 20% circa per le conseguenze della pandemia».
Un morbo che richiede più attenzione con il vaccino
Per i pazienti con morbo di Basedow, la pandemia ha rappresentato un’ulteriore difficoltà in un percorso già ad ostacoli. «Il morbo di Basedow si manifesta con un eccesso di ormoni tiroidei e il processo infiammatorio che ne è la causa può estendersi anche all’orbita causando il quadro clinico noto come “esoftalmo”», spiega Francesco Frasca, rappresentante della European Thyroid Association |ETA|. «In questi casi bisogna fare molta attenzione anche alla vaccinazione anti-Covid-19, perché la terapia tipica dell’orbitopatia basedowiana, basata sui cortisonici ad alte dosi per via endovenosa, può vanificare l’effetto del vaccino se questo è somministrato durante il ciclo terapeutico. La cura dell’ipertiroidismo causato dal morbo di Basedow richiede poi controlli clinici frequenti per aggiustare la terapia che, durante le fasi più acute della pandemia, sono stati più difficili da attuare sia per l’impegno degli endocrinologi nell’emergenza Covid, sia per le difficoltà di accesso ai servizi ospedalieri. Per assicurare la cura dei pazienti si è fatto ricorso alla telemedicina e all’utilizzo di schemi terapeutici come quello basato sulla contemporanea somministrazione di farmaci antitiroidei ad alto dosaggio e tiroxina, che consentono controlli clinici meno ravvicinati».
Il timore di recarsi in ospedale causato dal Covid
L’attuale periodo pandemico, che si sta protraendo da oltre un anno, ha di fatto ridotto il ricorso da parte dei pazienti ai programmi di prevenzione e ai controlli periodici sia per le patologie tiroidee benigne sia, questo è il dato più preoccupante, per quelle maligne.
«La paura di “andare in ospedale” per visite ed esami ambulatoriali, il contingentamento degli appuntamenti e in molti casi la temporanea sospensione dei servizi o la trasformazione dei reparti per ricoveri Covid, ha causato sia ritardi diagnostici sia l’allungamento dei tempi per effettuare interventi di tiroidectomia spesso necessari», aggiunge Celestino Pio Lombardi, presidente della Società italiana unitaria di endocrino-chirurgia |SIUEC|. «Il rischio, in caso di noduli tiroidei tumorali, è l’aumento di dimensioni che, non solo può peggiorare il successivo decorso, ma può rendere impossibile il ricorso alla chirurgia tiroidea mininvasiva e più conservativa, con conseguenze postoperatorie ed estetiche talvolta importanti». La nuova sfida è, quindi, quella di recuperare il tempo perduto intensificando l’attività dei centri di chirurgia endocrina.
Il ruolo diagnostico-terapeutico della medicina nucleare
Ad intervenire nelle malattie della tiroide non solo per la diagnosi, ma soprattutto per la terapia con iodio radioattivo dell’ipertiroidismo e dei tumori della tiroide, una volta trattati chirurgicamente è la medicina nucleare. «Da un’analisi del gruppo Giovani AIMN – afferma Maria Cristina Marzola, consigliere dell’Associazione italiana di medicina nucleare |AIMN| – è emerso che, durante la pandemia si è verificata una riduzione di tutte le prestazioni di medicina nucleare: circa il 19% riguarda prestazioni terapeutiche, mentre più del 50% la terapia con iodio radioattivo per il carcinoma della tiroide. Questo è dipeso sia dalla riduzione degli interventi chirurgici sulla tiroide, sia dalla possibilità di posticipare di qualche mese la terapia con iodio radioattivo nei casi di carcinoma differenziato della tiroide a basso rischio. Contestualmente, i Centri di Medicina Nucleare hanno innalzato i livelli di protezione e isolamento dei pazienti per evitare che chi avesse assunto lo iodio radioattivo a scopo terapeutico fosse infettato dal virus».
Dunque, se nel nostro Paese l’andamento dell’epidemia non consente ancora di organizzare le consuete iniziative locali di prevenzione ed educazione, attività di informazione e sensibilizzazione verranno veicolate attraverso la pagina Facebook dedicata “Settimana Mondiale della Tiroide” e il sito www.settimanamondialedellatiroide.it.
Giorgio Cavazzini