Lei, Anne Erin Clark, al secolo St. Vincent,sta per compiere quarant’anni. Il padre è appena uscito dopo aver scontato dieci anni al gabbio per una brutta storia che lo ha visto coinvolto in una truffa da milioni di dollari.
Annie, come l’artista si fa chiamare nella vita, ne parla nel suo nuovo disco, il settimo in studio, intitolato appunto Daddy’s Home. Lei è senza dubbio una delle più interessanti musiciste di questo secolo il suo polistrumentismo si affina bene a una visione della musica e a una capacità compositiva inclini a nuovi percorsi sonori caratterizzati da un profilo estetico sempre piuttosto alto.
Ritorno agli anni ’70
Dopo St. Vincent del 2014, l’emozionante album che di fatto la impose sulla scena mondiale, la musicista di Tulsa fece uscire tre anni dopo Masseducation, spigoloso progetto caratterizzato da una forte carica funk, ora St. Vincent riparte dalla vicenda del padre, più che altro toccandola ai bordi senza farne cartolina, con un tuffo nell’atmosfera newyorchese degli anni ’70.
Un balzo retrò che non ha nulla a che fare con versioni di stampo vintage di quel periodo. Il suono dell’autrice si fa più morbido, gli abbellimenti addolciti, le chitarre seguono un percorso senza detonare come in passato, il sitar conferisce il mood del periodo, le tastiere prendono il largo con eleganza e la ritmica non invade il campo.
Suono morbido
Con calore e intensità St. Vincent porta il suo intimo in questo ultimo capitolo sonoro. Psichedelia e soul propongono la tela migliore per celebrare donne del cinema e della musica che in qualche modo le hanno toccato le corde, da Tori Amos a Marilyn Monroe (The Melting Of The Sun), voce e synth aprono il disco in modo deliziosamente sorprendente in un brano che s’avvolge intorno al dolore (Pay Your Way In Pain), il Prince più pop appare come radice in Down, canzone che entra subito a girare per le autostrade della testa e da lì non si muove.
L’estrema variabilità della scrittura porta quindi ad apprezzare la commozione che emana da Down And Out Downtown, in cui i Seventies davvero esplodono in tutta la loro forza, la lieve The Laughing Man, dove piano, chitarra e voce supportano con una cornice molto emozionale la voce della cantante.
Il disco più intimo
Traducendo in autori questo viaggio nel tempo, Daddy’s Home contiene vari riferimenti, da David Bowie agli Steely Dan, da Joni Mitchell ai Pink Floyd più d’atmosfera che di ricerca sperimentale. Non scordando l’imprinting di David Byrne, monumento con cui St. Vincent nel 2012 lavorò nell’album Love this giant.
Un disco più intimo, in cui la musicista racconta la necessità di disintossicarsi da scorie che viveva come ostacoli esistenziali e per farlo ha aperto cuore, testa e orecchie, come lei stessa ha affermato, agli anni post hippie e pre-disco. Dove New York sembrava il posto più naturale per chiunque senza nome avesse urgenza di dire qualcosa con la musica e con le parole.
Corrado Ori Tanzi
Fotografie : ©Zackery Michael