Quando gli arriva la missiva del collega Pino Blumenstein, Manrico Spinori della Rocca, pubblico ministero in Roma e, contro i suoi gusti, detto “il contino” per via del suo sangue nobile, sta vivendo giorni ordinari. Normale amministrazione il lavoro, alti e bassi gli affetti, la madre ludopatica il solito problema senza soluzione.
E anche la lettera di Blumenstein non è che dica proprio molto. Giuseppe Mancini, per tutti er Farina, collaboratore di giustizia, ha parlato di un caso freddo, chiuso una decina di anni prima dallo stesso Spinori. Parlato… termine piuttosto generoso. Il pentito ha abbozzato monconi di frasi sull’omicidio di tale Francesco Lo Moro, con tanto sforzo di memoria identificato dal pm come Veronica, transessuale di alto bordo, per la cui morte era stato accusato l’ex colonnello Ridoré che, a causa dello scandalo, si era suicidato.
Il caso torna caldo
Sempre che si riesca a capire che cosa affermi davvero er Farina, c’è da credergli? Come un fiocco di neve che scende dalla montagna fino a farsi valanga il caso acquista man mano rilevanza. Tutta la squadra di Spinori (composta da agenti donne) si sposta su quell’omicidio riaperto. La mano del pm c’è tutta, ma l’indagine questa volta prende una direzione di azione collettiva. Le storie personali nel cassetto e via con un’investigazione che alza da sotto il tappeto una polvere fetida e maleodorante. Dieci anni non possono essere passati invano.
Il suo freddo pianto (Einaudi, 232 pagg., 17,50 euro) la terza avventura di Manrico Spinori, pm e melomane nato dalla penna di Giancarlo De Cataldo, dopo Io sono il castigo e Un cuore sleale, ci mostra un nuovo profilo della ancor fresca vita letteraria dell’investigatore.
Uno sbaglio pagato caro
La si legga come si vuole, la si guardi partendo da destra per arrivare a mancina, Manrico Spinori dieci anni fa sbagliò. Meticoloso e preciso quanto si voglia, ma l’errore ci fu e non senza tragiche conseguenze. Le stesse che oggi tornano a lui trasformandolo in un professionista meno diffidente verso le iniziative dei suoi, ma uomo ben più raccolto in se stesso, ombroso, giocatore dai nervi scoperti, anche se sempre ben presente a se stesso.
Non è l’aver sbagliato in quanto tale che lo ferisce. Mai stato, Manrico Spinori, un vanitoso dell’autostima. Ma l’aver commesso un errore che per un innocente si è trasformato in una montagna di cui non reggere il peso.
Più che gli uomini e le donne lo salva la musica lirica. Spinori si butta nel melodramma e il teatro musicale gli fornisce ancora una volta la chiave per aprire la porta che deve essere aperta.
Lirica come crisalide
Tutto è stato già scritto. Ma non tutto ascoltato come si deve. Turandot, L’italiana in Algeri, Lulu saranno anche esempi di come “ogni dramma è un falso”, ma se veramente amate si trasformano in crisalide di una verità che si può ancora afferrare.
Prima che lo scandalo travolga tutti. Perché anche i morti possono essere redenti.
Corrado Ori Tanzi
Fotografie : ©Einaudi