Qualche giorno fa sul suo profilo Twitter Joni Mitchell posta un piccolo messaggio: «The initial response I got (for “Blue”) was critical, mostly from the male singer-songwriters. It was kind of like Dylan going electric. They were afraid. Is this contagious?». Tanto per chiarire le cose e per far capire quale importanza ha avuto Blue, il suo disco più intimo (che compie 50 anni questo giugno), che come dice lei stessa può essere paragonato, per importanza e frattura, alla “svolta” elettrica di Bob Dylan.
Dal Canada per incantare
Non lo si dovrebbe dire, ma il prossimo 7 novembre Roberta Joan Anderson compirà 78 anni. Nata a Fort Macleod, in Canada, ebbe modo a metà degli anni ’60 di iniziare a suonare nei locali di Toronto, dove conobbe gli allora giovanissimi Neil Young e Leonard Cohen. Dopo una relazione e un matrimonio burrascoso con Chuck Mitchell, negli anni successivi si trasferisce a New York dove si fa notare come autrice e cantante folk. Lì ha modo di collaborare con Dave Van Ronk e Judy Collins, ma è l’incontro (e la relazione) con David Crosby (ex componente dei Byrds) ha permetterle di entrare nel gotha dei folksinger statunitensi. Nel 1968 incide il suo primo album, che ebbe subito successo, come anche i due successivi. Troppo forse per un animo così delicato, se si pensa che contemporaneamente la sua vita sentimentale si complica: dopo aver lasciato prima David Crosby e dopo Graham Nash, intreccia una relazione con James Taylor, che però stenta a prendere quota.
La fuga, il ritorno, il disco
Decide di scappare in Grecia, a Creta in una comunità hippies, per ritrovarsi e sfogare la sua grande passione per la pittura (che oggi è diventata la sua professione principale, essendosi ritirata dalle scene). Lì compone molte delle canzoni che inserirà in Blue, un disco autobiografico raccolto in 10 “quadri” intimi in cui traspare a pieno il suo tormento.
Tornata in California decide di entrare in sala di registrazione assieme a un ristretto gruppo di amici (tra cui James Taylor e Stephen Stills) per registrare quelle 10 “perle”. Non vuole grosse complicazioni, sceglie di utilizzare arrangiamenti essenziali, senza grandi fronzoli (tra folk, jazz, rock e pop), sfruttando le sue grandissimi doti vocali e di musicista (suonando chitarra acustica, pianoforte e dulcimer degli Appalachi). Il risultato è un disco in cui si parla molto di amore, passato e presente, come nei brani The Last Time I Saw Richard, This Flight Tonight, My Old Man, All I Want e Blue (nomignolo con cui chiama il suo uomo); ma anche di luoghi a lei cari (California, A Case of You e Carey), tra West Coast, Canada e Grecia).
Il dolore nascosto in un brano
Certamente l’intero disco fa percepire l’animo tormentato di una grande artista, ma è con il brano Little Green, che Joni Mitchell estrae la vena compositiva più criptica. In esso non si racconta dell’amore per un uomo, ma quello per una figlia. Quella che la Mitchell “abbandonò” nel 1966 in un orfanotrofio, ancora piccola, non potendola sfamare. Fino al 1993 il fatto non fu noto a nessuno, ma fu un suo amico di quegli anni a rivelarlo a un giornale scandalistico. La notizia portò quattro anni dopo alla riunione tra lei e la figlia.
50 anni e ancora stupendo
Molto spesso ci si interroga di come alcuni dischi non riescano a invecchiare. Certamente molto è dovuto all’universalità dei temi affrontati, ma anche all’epoca in cui sono stati pubblicati. E ancora di più alle corde interiori che sanno far vibrare. In Blue c’è tutto questo, ma soprattutto un’arte di composizione, interpretazione e pathos che il tempo non può scalfire. Certamente sono i pensieri, le parole, i suoni di Joni (ma possono essere di chiunque): una giovane donna, romantica e vagabonda alla ricerca dell’amore eterno, che apre il disco cantando, con la sua voce passionale: «Sono su una strada solitaria e sto viaggiando / In cerca di qualcosa che mi renda libera».
Blue è stato una tappa importante nella carriera della Mitchell, che negli anni successivi svoltò su un repertorio più vicino al jazz, avendo una voce molto duttile, divenendo anche per questo genere un punto di riferimento.
Riccardo Santangelo
Fotografie: ©Warner Music Group, ©Kevin Mazur