Anni ’70, Londra. La Swinging London che aveva portato alla ribalta la capitale britannica nel decennio precedente si stava evolvendo. Certamente avrebbe portato ancora tante novità all’interno della società e della cultura. Molti gruppi musicali avrebbero preso l’eredità, lo spunto della rivoluzione degli anni ’60, per spiccare il volo. Ma fuori da questo luogo leggendario, appariscente, votato all’eccesso, in cui la cultura giovanile diventò protagonista, c’era un’altra Londra? Magari non era più quella descritta da Dickens, ma c’era sicuramente (e c’è ancora, come in tutti i paesi!).
Lavorando in fabbrica
Carnaby Street era l’apparire e l’effimero, le fabbriche in cui lavorava il sottoproletariato arrivato da mezzo mondo erano invece il concreto. Ed è in una di questa fabbriche che i fratelli Mancuso erano impiegati. Di giorno a faticare e di sera insieme ai propri conterranei siciliani a ricordare le tradizioni musicali, che sono per gli emigrati un’ancóra con la propria terra. Un “rito” giornaliero che hai fratelli di Sutera (provincia di Caltanissetta) è servito per non perdersi in una terra straniera, che poi con il tempo, tornati in Italia, è divenuta una ragione di vita. Tanto da divenire con gli anni custodi di un prezioso patrimonio storico-culturale legato alla Sicilia, e come afferma la Radio della Svizzera Italiana nella presentazione di una trasmissione «…guarda alla carne viva del folk e lo immette nei vortici di una continua affabulazione».
Più di dieci anni dopo
Importante nella carriera di Enzo e Lorenzo Mancuso è stato l’incontro con etnomusicologo spagnolo Joaquín Díaz González che suggerì loro di iniziare a registrare le proprie composizioni, ma anche le successive collaborazioni con registi come Anthony Minghella (che li volle anche come attori nel film Il talento di Mr. Ripley), Giuseppe Ferrara e Emma Dante. Dopo più di dieci anni dall’ultimo album (edito dall’Amiata Records), i fratelli tornano a con il disco Manzamà,arricchito da un ricco libretto illustrato con i dipinti originali di Beppe Stasi, e pubblicato per Squilibri Editore (e co-prodotto con 802 Records).
La fusione di mondi
Le composizioni di Enzo e Lorenzo Mancuso si sono sempre contraddistinte dalla capacità di contenere in sé echi e rimandi a mondi che parrebbero lontani, e dove la loro Sicilia ritorna ciclicamente. Anche questo disco non sfugge a tutto questo, per cui idiomi e suoni antichi sono riportati in vita dalla loro bravura strumentale e di canto. Infatti i due fratelli suonano, oltre alla chitarra, viola e harmonium, diversi strumenti della tradizione mediterranea, come il saz baglama, sipsi, flauta de sabugheiro, sansula, viola de beiroa.
Tutto questo basterebbe per creare un sound di estrema bellezza. Ma i Mancuso accanto a sé hanno voluto altri artisti e compositori, tra i quali Franco Battiato e Aldo Giordano (che hanno curato gli arrangiamenti), Marco Betta, German Diaz, Ferruccio Spinetti e Giovanni Sollima e altri ancora, oltre a due quartetti d’archi e un coro.
Due brani d’esempio
Manzamà è certamente un disco non facile per un ascoltatore disattento, alla ricerca solo dell’intrattenimento della musica. La ricerca e l’accuratezza nella composizione fa trasparire un lavoro di cesello per le costruzioni armoniche e le scelte delle parole. Si prenda per esempio il testo di Animi: è l’elenco di nomi di persone morte nel vano sforzo di arrivare in una terra dove la loro vita poteva essere migliore. Ma se si vuole apprezzare a pieno l’arte dei Mancuso, si può ascoltare (ma non vuole essere discriminatorio per altri brani dell’album, tutto assolutamente coinvolgente), Deus Meus, dove le parole di un passo tratto dal Vangelo di Matteo, ci portano nel clima sacro dei canti devozionali e dei riti sacri legati alla Settimana Santa. Qui le voci di Enzo e Lorenzo ci conducono in una sorta di lamentazione ipnotica e polifonica, supportata dal violoncello di Giovanni Sollima che crea un bordone a sostegno. Un’atmosfera dove terreno e divino hanno modo di mischiarsi.
Riccardo Santangelo
Fotografie : © Nino DiMaio