La storia del mondo è un racconto scritto dal maschio. Dal maschio le regole, le tradizioni secolari, l’attribuzione delle opportunità di crescita, la definizione dei compiti, l’accettabilità dei comportamenti sociali, il riconoscimento dei posti nella famiglia e quelli da osservare in strada, nei marciapiedi, nei giardini pubblici, nei negozi.
Ricordi della mia inesistenza (Ponte alle Grazie, 256 pagg., 16,80 euro) di Rebecca Solnit è “molto più di un manifesto femminista”, come lo ha definito il prestigioso New Yorker. Con una scrittura puntuale e coraggiosa, la scrittrice e critica d’arte californiana espone il racconto scritto sul suo corpo in sessant’anni di vita, lo incrocia a quello che compone il suo animo e ci lascia un’algida analisi su cosa, al di là delle più progressive leggi, è ancor oggi il rapporto tra uomo e donna e tra donna e vita in una società dominata dalle varie versioni del maschio alfa.
Predatori e vittime
L’intero percorso di intellettuale di Solnit da sempre è rivolto a due grandi battaglie: l’ambiente e quella per l’emancipazione del ruolo concreto della donna. La vera erede di Simone de Beauvoir, necessaria quanto l’aria che si respira, considerato che la parità di genere è il Sacro Graal dell’Ultima Cena, tanto più utopia perenne quanto più imprescindibile sforzo collettivo per donne e uomini di buona volontà.
Partendo dalla sua stessa esperienza personale, l’autrice ci mette di fronte a schegge di realtà che lacerano la carne viva. Datori di lavoro che si eccitano al racconto di un’aggressione sessuale subita da una loro dipendente, studi dei più seri istituti di ricerca e dei media scientifici che concordano che lo stupro ha circa quattro volte probabilità in più di provocare un disturbo post traumatico da stress rispetto alla partecipazioni ad azioni di guerra, predatori che inducono la donna a pensare come un predatore.
La giurisdizione del corpo
E poi l’incessante e minuzioso esame a cui è sottoposto il corpo femminile anche nei più apparentemente innocui elogi da parte degli uomini nella vita di tutti i giorni, la giurisdizione del corpo, inteso come spazio in cui il maschio può permettersi di comportarsi a suo piacimento a partire dai giudizi non richiesti.
Visibili, ma silenziose, impegnate a risultare gradevoli: è proprio questo il destino a cui deve essere destinato il sesso femminile. Emotive, vendicative, illogiche, manipolatorie, irrazionali: che cosa nasconde la cultura millenaria degli abusatori?
Conquistare l’Everest
Non ascoltata, e se ascoltata il più delle volte non creduta, screditata da polizia, famiglia, autorità universitarie, perfino negli ospedali durante il test dello stupro, umiliata nei tribunali e sospettata dalla sua stessa chiesa di appartenenza per chi ne ha una. È così perché così deve essere? Niente affatto. Con testi come Ricordi della mia inesistenza l’Everest si deve raggiungere. E gridare che si è vulnerabili e imperfette. Ma soltanto come rappresentanti del genere umano. Senza distinzione di specie.
Corrado Ori Tanzi